
La solitudine è sicuramente uno dei mali del nostro tempo, ne soffrono moltissime persone in tutto il mondo, soprattutto nelle grandi città, laddove – per assurdo – c’è più gente. Può presentarsi in diverse forme: reale o percepita, scelta per prendersi una pausa di piacere dal mondo o per fuggire da esso e può essere leggera o grave come accade negli Hikikomori.
Ho sempre pensato che la solitudine fosse un dono, per me. Un luogo ove starmene qualche tempo a “respirare”, lontano dagli affari del mondo. Un luogo dove poter stare a fare una delle cose che amo di più: pensare. Certo, ho anche vissuto momenti in cui non era una mia scelta, quella di stare da solo, ma non mi sono mai trovato così male.
Esistono, però, nel mondo, tantissime sfumature di solitudine, che passano da una semplice percezione di stare da soli (che può essere più o meno forte, comunque) a delle vere e proprie reclusioni dal mondo, come accade negli Hikikomori, quando si perde la volontà stessa di “uscire dalla solitudine” e si inizia ad avere bisogno di un aiuto importante.
Facendo ricerca sul tema ho trovato la formula EASE di Cacioppo, che sembra poter dare un supporto a chi si sente solo, ma sa ancora desiderare uscirne.
Quale solitudine?
Quando si parla di solitudine bisogna fare attenzione nel comprendere di quale tipologia si tratta. Di certo non sono in grado di riportartene tutte tutte tutte le tipologie, ma almeno alcune, perché il mio intento è aprirti orizzonti e farti riflettere, piuttosto che fare un pamphlet scientifico.
Per come ho avuto modo di vivere, trovare nella ricerca e vedere coi miei occhi, quando si parla di solitudine bisogna comprendere:
- se è reale o percepita
Sì, insomma, se veramente non conosci nessuno e non hai (o non sai) a chi rivolgerti o se ti senti solo/a, anche in mezzo alla gente.
. - se è scelta (e positiva) o subita
Spesso capita di volersi prendere del tempo per sé e in questo caso può essere una solitudine positiva, piacevole e addirittura “rigenerante”. Diversamente, se si prova ad accedere alle relazioni e non ci si riesce e capita di “subire” solitudine, di certo ha un carattere negativo e di sofferenza.
. - quanto è profonda
Se ti fa scegliere il posto in metro più lontano da tutti (ma comunque in metro, nelle piazze e nelle strade, ci vai e ogni tanto con qualcuno parli) o se ti chiudi in un buco, in reclusione.
Non so se esistono termini specifici per ogni tipo di solitudine, ma so che una delle più profonde, oggi, è l’Hikikomori. Una sorta di volontaria esclusione sociale che ha piede in Giappone e per la quale individui si barricano letteralmente in casa, spesso “nascosti” dietro a vite (e relazioni) digitali.
Come al solito, in fondo trovi tutti i link per approfondire, ma te ne metto un paio anche qui: Wikipedia e OkMedicina.
Che fare? La solitudine “passeggera”
La solitudine è una questione molto personale e sociale, per cui non è facile dare un consiglio univoco. Di certo in casi peggiori è bene iniziare a consultarsi con gli esperti, come psicologi e psicoterapeuti nel caso di una profonda solitudine o centri di ascolto, sociali, in caso di una solitudine reale (quando sei veramente solo/a), ma fino a che è una solitudine percepita e non profonda, dove magari hai la voglia di entrare in contatto con qualcuno, ma non sai con chi e come… allora ci sono diverse cose che puoi fare.
In primis, forse, vale sempre di comprendere che tipo di solitudine vivi.
Magari la tua è solo una solitudine “di passaggio”.
Ne ho scritto qualcosa nell’articolo sulla “solitudine di Speciazione“. Insomma: può capitare che vivi momenti in cui non riesci a relazionarti con chi conosci, perché hai in atto un tuo cambiamento, e non hai ancora avuto accesso a nuove realtà relazionali, per cui… vivi un momento di solitudine di passaggio.
Forse l’unico consiglio, qui, è di non arrenderti e cercare “oltre il recinto”, cioè non bloccarti sul fatto che vivi un momento di solitudine, ma focalizzarti sul desiderio di trovare nuove relazioni: una persona o un gruppo con cui entrare in relazione.
Metodo EASE di Cacioppo
Tra i vari suggerimenti trovati online, mi ha colpito il Metodo EASE di Stephanie e John Cacioppo, docente all’Università di Chicago e tra i più riconosciuti studiosi sul tema della solitudine al mondo.
Il link mancante su Stephanie sta a segnalare la mancanza di una sua pagina in Wiki, mentre per John troviamo:
John Terrence Cacioppo (12 June 1951 – 5 March 2018) was the Tiffany and Margaret Blake Distinguished Service Professor at the University of Chicago.[2] He founded the University of Chicago Center for Cognitive and Social Neuroscience and the Director of the Arete Initiative of the Office of the Vice President for Research and National Laboratories at the University of Chicago.[2] He co-founded the field of social neuroscience and was member of the Department of Psychology, Department of Psychiatry and Behavioral Neuroscience, and the College until his death in March 2018 – fonte Wiki
L’EASE Method è molto semplice e tende (a mio avviso) a trasferire una parte dell’impegno che oggi si mette nel lavoro, anche nel costruire una relazione sociale. Eccone i quattro punti:
- espandersi
Invece che chiudersi in spazi stretti, che siano fisici o mentali, tentare di allargare la propria rete sociale, magari accettando anche di frequentare chi non risuona al 100% con noi;
. - programmare la socialità
Ecco, qui – secondo me – c’è la parte interessante del metodo: programmarsi in modo da assicurarsi una dose settimanale di appuntamenti sociali. Mi sembra un’idea allo stesso tempo semplice e geniale.
. - selezionare
Una volta che hai una discreta quantità di relazioni, puoi iniziare a selezionare con chi, secondo te, vale passare il tuo tempo e con chi no. Il rischio di farlo fin da subito – come avrai già compreso – è che ci si può trovare di nuovo soli e senza conoscenze.
. - pensare positivo
Nella versione corretta ci sarebbe qualcosa come “aspettarsi il meglio” dalle persone, che corrisponde in parte ad un pensiero positivo sano: se una volta o due ricevu buca o quella relazione fa cilecca, non pensare subito male, predisponiti a pensare bene. Magari l’appuntamento è saltato per validi motivi, magari quel giorno le cose non hanno funzionato perché l’altro/a aveva una giornata no… e via dicendo. Insomma: aspettati il meglio.
Certo il metodo ha qualche anno (il libro “Loneliness” è del 2008 e alcuni articoli citano gli studi fino al 2015), ma dà comunque degli spunti interessanti, anche se è sempre meglio, se si vive la solitudine come un disagio, rivolgersi ad esperti.
Perché la solitudine?
Chiudo con una riflessione filosofica, che però – ho scoperto – ha validi sostegni nella ricerca dei Cacioppo, in particolare espressa in “Loneliness: Human Nature and the Need for Social Connection“ (Norton, 2008).
L’idea è questa:
la solitudine è un campanello di allarme utile a creare relazioni sociali migliori, che ci permettono di rinforzare noi stessi, il nostro senso si autostima, il nostro ruolo e utilità nel mondo, la nostra felicità e ci permette di creare una Specie Felice.
Per approfondire:
➠ Filosofia della Specie (TAG)
➠ Solitudine (WALL STREET JOURNAL)
➠ Solitudine (POSITIVELYPRESENT)
➠ Solitudine e cervello (HUFFINGTON POST)
➠ Hikikomori – Wiki (WIKIPEDIA)
➠ Hikikomori – OkMedicina (ARTICOLO ESTERNO)
➠ John e Stephanie Cacioppo, Love Brain (SOCIALSCIENCES)
➠ “Loneliness: Human Nature and the Need for Social Connection“, Cacioppo, Norton edizioni (LIBRO)
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