
Immaginare il futuro non è prevederlo. E prevedere scenari non richiede solo di saper usare l’immaginazione, ma anche di conoscere il presente e di avere una solida preparazione sul passato. Quindi puoi scegliere i tuoi strumenti in base al futuro che cerchi.
La domanda sul “domani” non muore mai: da sempre cerchiamo di svelare il mistero di quello che ci attenderà dopo un confine, un orizzonte spazio-temporale, che va al di là dello sguardo. E mano a mano abbiamo potuto fare sempre maggiore affidamento su una consapevolezza storica e su strumenti più affinati.
Eppure c’è qualcosa che, fin dalle origini, sembra essere permasta: un’abitudine immaginativa e narrativa che non sempre si è poi sposata con la realtà dei fatti, ma… ci ha fatti pensare, riflettere e sognare.
Ecco qual è l’utilità di continuare a immaginare, anche senza prevedere…
Futuri
Di futuro non ce n’è mai uno solo.
Certo non possiamo “fare tutto”, ma sappiamo con certezza che il domani può avere più volti possibili. E questo è vero sia per un singolo che per un gruppo, un sistema o una società. Ecco perché il settore del sapere che si occupa di “futuri” si chiama futures studies, al plurale.
Di futuro ce c’è sempre stato e sempre ce ne sarà.
Altra teoria interessante da considerare è che, di fatto, di futuro ce n’è sempre stato. Altrimenti non saremmo qui dove siamo. È anche vero che ci sono stati momenti storici in cui, per un motivo o un altro, si pensava che “di futuro” non ce ne sarebbe stato più (come nel caso di coincidenze particolari: l’anno 1000, le guerre, la peste). Può capitare che di futuri se ne vedano pochi, forse nessuno.
Il futuro che viene dal passato.
Altra cosa interessante da notare è che, molto spesso, il nostro “domani” è una semplice copia di ieri: abbiamo l’abitudine di pensare riproponendo schemi, visioni ed idee dal passato. Domande interessanti, su questo, possono essere: qual è il limite oltre il quale io smetto di proporre avanti a me una copia del mio passato? Nel senso: se ti chiedo di immaginarti tra 10 anni, probabilmente avrai una maggiore libertà nel pensarti diverso/a, piuttosto che se ti chiedessi di parlare del tuo “io” tra tre mesi.
Il futuro che scappa dal presente.
Utopie, distopie… quando guardiamo al futuro a volte lo facciamo perché cerchiamo di scappare dal presente: sono quelle occasioni che ci portano ad esplorare estremi come utopie e distopie. Nella filosofia siamo pieni di utopie: dalla Repubblica di Platone, alla Città di Dio di Agostino, fino alla una più recente Kirghisia di Agosti. E abbiamo moltissimi esempi anche di distopie, che hanno avuto il loro luogo migliore nella tradizione letteraria dei romanzi. Ad esempio ricordiamo le opere di Asimov, Huxley, Orwell e Dick.
Passati e presenti Futuri
Dalle grotte ai film.
Quello che mi pare di notare è che abbiamo sempre non solo immaginato, ma anche raccontato i nostri futuri possibili, che fossero utopici o distopici, attraverso qualche forma – che potremmo definire “artistica” – espressiva immaginativa: dai disegni nelle grotte, fino alle più recenti serie televisive.
Gli strumenti del tempo.
Ogni epoca ha avuto i suoi strumenti, che sono migliorati nel tempo grazie ad una aumentata consapevolezza storica ed alla continua sperimentazione, per poter guardare al futuro: la divinazione e la contemplazione antiche, l’astrologia, il mito, la letteratura e l’arte, la filosofia, fino ai futures studies, con le varie metodologie.
Miti presenti e futuri.
Quel che non è mai tramontato, però, è l’uso dell’immaginazione per scovare i futuri e della narrazione per descriverli. Forse il professor Ortoleva sarebbe in accordo, se dicessimo che le narrazioni sul futuro sono dei miti e che i futures studies, nel loro produrre scenari, creano una sorta di “miti a bassa intensità“.
Futuri e metodi
Gli studi sui futuri.
Che scopo hanno gli studi sui futuri? Dipende. Nel panorama (italiano) sui futures studies ci sono diverse posizioni: c’è chi dice che un buon lavoro sui futuri è quello che permette di arrivare a delle anticipazioni (ovvero le azioni che permettono di prepararsi ed evitare o anticipare possibilità), c’è chi dice che – invece – lo scopo principale sia quello di fare scoperte e non importa che si realizzino o meno. Io, personalmente, amo l’idea che si possano trarre delle azioni dai futuri, ma amo anche di più immaginare possibili…
Non solo futuro.
Per fare bene un lavoro che pretende di arrivare a delle scoperte e poi a delle anticipazioni, è sicuramente necessario mettere in campo ben più che la sola immaginazione: servono una profonda consapevolezza dell’oggi ed una vasta conoscenza dello ieri, perché è in base a questi due parametri, che possiamo aggiungere valore predittivo alle immaginazioni.
Narrare futuri.
E quando, allora, possiamo sentirci sereni nel giocare con immaginazione e narrazione, per scoprire visioni possibili (utopiche, distopiche, probabili)? Sempre: basta che sappiamo che non sono previsioni. Anche se, diciamocelo: a volte l’immaginazione supera la realtà e non è raro che qualche descrizione trovata in un libro fantascientifico, sia stata poi lo sfondo di scenari reali…
In chiusura ti lascio col TED di Charlie Jane Anders, scrittrice e performer che ha vinto molti premi e lavora molto col futuro. Del suo speech, mi piacciono molto alcuni punti, che trovo assai allineati. In particolar modo una frase, che riporto a modo mio:
Io inizio e finisco usando l’immaginazione.
Immagino, creo, gioco, poi torno a vedere nel reale cosa c’è già che si collega a quello che ho immaginato, e poi torno ad immaginarmi in quei mondi, a vestire i panni di chi ci vive.
Mi piace perché credo che sia possibile a tutti, a piccoli passi. E ti invito a provare.
Se vuoi avere maggiori dettagli su come fare, ti invito a scoprire:
- un mio buon articolo sui futures studies;
- il mio ultimo libro “Andata e Ritorno“;
- come usare l’arte della Contemplazione;
- l’importanza dell’Immaginazione Antropologica nella costruzione di narrazioni sociali.
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