
Un “mito” non è necessariamente qualcosa di lontano, ma di certo il modo di “fare miti” di oggi è molto diverso da una volta. Ciò è dovuto anche ad un cambiamento dei tempi, del tempo e dello stesso calendario: non più diviso tra “fasti” e “feriae”, ma in lavoro e vacanza.
Il tempo cambia tutte le cose, lo sappiamo. Il cambiamento che è avvenuto al mito, però, è passato in sordina, invisibile per molti: è la trasformazione che ha subito in base al cambiamento del calendario, che è passato dalla divisione in fasti e feriae a quella tra lavoro e vacanza.
Con tale cambiamento terminò un intero modo di intendere il tempo e di fare mito, ed ebbe inizio un altro sistema, che ha portato a stravolgimenti inattesi, tra cui una specie di “caduta del mito”.
Il mito e il calendario antico
L’osservazione sul cambiamento del mito in relazione al cambiamento del calendario, secondo me bellissima, è di Peppino Ortoleva. L’ho trovata sfogliando il suo “Miti a bassa intensità” e me ne sono subito appassionato.
In breve, cosa dice: una volta il calendario era diviso in giornate che potevano essere fasti o feriae. A differenza del nostro calendario, le feriae avevano un profondo carattere di sacralità. In quei giorni erano vietate le funzioni di lavoro, perché si dava spazio alla celebrazione del numinoso, del sacro.
In una filosofia politico / sociale (e religiosa) come quella latina, le feriae erano una celebrazione del sacro: una divinità, un evento, un grande personaggio della storia. Sono un po’ come le nostre giornate del 25 aprile, del 02 giugno o dell’08 marzo, insomma.
In queste giornate tutto il popolo (libero) era chiamato a celebrare. Erano occasioni di festa e di rammemorazione: in queste occasioni venivano ricordate storie di uomini, di dèi e di fatti del passato, in rappresentazioni teatrali, in giochi e anche con narrazioni orali.
Era il tempo del mito, dato che le storie che venivano ripetute, erano proprio i miti.
Il cambio del calendario
Il cambio di calendario ha comportato un cambio di mentalità: da fasti / feriae siamo passati al binomio lavoro / vacanza. Apparentemente non è cambiato nulla, ma in realtà è cambiato tutto.
Anzi tutto non esiste più la divisione tra “mondanità” e “sacralità”. Tutto è divenuto profano – in un momento – perché è sparito del tutto lo spazio del sacro: non ci sono più incontri di narrazione, non ci sono più storie e miti da raccontare, c’è solo il lavoro e… la “vacanza”.
Parola terribile, a ben pensarci: la vacanza indica ciò che manca, una specie di vuoto. Il vuoto del lavoro.
Ecco che, con un cambio di calendario, l’intera psiche dell’individuo è crollata, ha perduto interi settori di realtà possibili, quelli del mito, e si è uniformata con la mentalità del tempo: quella duale.
In che modo? Semplice: nella psiche ora c’è solo il tempo del lavoro e l’assenza (vacanza) di esso. La qual cosa, in sé, potrebbe anche essere una teoria su cui fondare la ricerca della nascita e dello sviluppo di molte “psicosi” sociali e personali, legate al lavoro e alla perdita di esso.
Il mito e il calendario moderno
Cosa ha comportato questo cambio di calendario? Semplice: un cambio della natura del mito. Non c’è più tempo (in tutti i sensi) e né spazio per la celebrazione dei grandi poemi, dei lunghissimi miti di tradizione orale e nemmeno per la lettura di fiabe. Dobbiamo correre tra lavoro e lavoro, schiacciati in tempi strettissimi.
In questa morsa, il mito non può essere impegnativo. Non può e non deve chiamare l’individuo a riflettere sulla sua stessa condizione, non deve mostrargli nulla che non sia piacevole, perché l’individuo ha estremamente bisogno di passare quel pochissimo tempo, a cui arriva extra compresso (leggi: stressato), nel modo più leggero possibile.
Il mito deve essere veloce, sfuggevole, facile da comprendere, piacevole.
Ecco che, rileggendo questa ultima frase, si comprende come la ricompartizione del tempo data dal nuovo calendario, abbia portato al successo del mercato del piacere: le fiction, le serie, la televisione “immondizia” dai programmi semplici, inutili e “vuoti”, sono l’immagine di quel “vuoto” a cui vanno a fornire una risposta, quasi una cura: l’idea di vacanza.
Problematiche moderne e soluzioni mitologiche
Siamo senza storie, come ho già scritto anche nell’articolo sui “miti a bassa intensità“. Siamo soli e senza coordinate, troppo veloci per fermarci a comprendere, destinati a schiantarci contro un confine ristretto e fasullo, fatto di carta e ingranaggi arrugginiti.
Però… dato che il mito è un sistema di pensiero, stiamo riducendo intere zone della psiche, capacità di pensiero e scoperta, di analisi della realtà, di visione. Stiamo falciando tutto ciò che può permetterci di interrompere questo ciclo e ricominciare con prospettive nuove.
Con questo passo perderemo identità, personali, nazionali, della Specie.
Perderemo capacità. Perderemo sacralità e ogni possibilità di rinascere dalla terra entro cui stiamo sprofondando.
Perdendo il mito non perdiamo il passato, ma ogni possibilità di vedere orizzonti nuovi per il futuro.
Per approfondire:
➠ Mitologia (TAG)
➠ Fiabe e Miti: confini e vie per la coscienza (ARTICOLO)
➠ Immaginazione e Evoluzione (ARTICOLO)
➠ Mitologie del presente e dei tempi che verranno (ARTICOLO ESTERNO)
(recensione di Valerio Pellegrini al libro “Miti a bassa intensità” di P. Ortoleva, su quadernidaltritempi.eu)
➠ “Miti a bassa intensità”, Peppino Ortoleva, Piccola Biblioteca Einaudi (LIBRO)
➠ “The Game“, A. Baricco, Einaudi Editore (LIBRO)
➠ “Sapiens“, Y.N. Harari, Bompiani (LIBRO)
➠ “La terapia come narrazione“, M. White, Astrolabio (LIBRO)
➠ “Le Storie che curano. Freud, Jung, Adler“, J. Hillman, Cortina Raffaello (LIBRO)
➠ “Donne che corrono coi lupi“, C.P. Estès, Sperling & Kupfer(LIBRO)
➠ Miti e Fiabe, confini e vie per la coscienza (VIDEO)
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