![La Filosofia del Cuore. [1/3 L’Amore non è un verbo da coniugare]](https://www.matteoficara.it/wp-content/uploads/2014/12/header-articoli54.png)
Quando si parla di “Amore” entriamo in una serie di confusioni ed errori che non ci permettono di né di viverlo per quel che è, né di procedere col nostro lavoro di consapevolezza. Bisogna ri-conoscerlo e per farlo ci vuole una Filosofia del Cuore.
L’Amore, qui, viene inteso come una “legge dell’universo”, come canta anche Battiato (“tutto l’universo obbedisce all’Amore”), e questo è un forte punto di tangenza con quanto andiamo a vedere in questo articolo.
Parlare di Amore, infatti, ci introduce alla Filosofia del Cuore, che non deve, però, essere necessariamente considerata anche come una Filosofia dell’Amore.
“Legge superiore a tutte le leggi è l’amore” – Boezio
Andiamo, ora, a comprendere meglio la questione, addentrandoci nel nostro filoso-fare, cercando di comprendere come e perché l’Amore non è un verbo da coniugare.
Una Filosofia dell’Amore
Per potersi dire tale, una Filosofia dell’Amore deve rendere oggetto dei suoi studi, e della sua conoscenza, l’Amore. E fin qui nulla ci stupisce, che ormai siamo avvezzi nel riconoscere una Filosofia in base al suo tema di ricerca.
Però questo primo punto pone subito una domanda fondamentale, ovvero:
che cos’è l’Amore?
Da qui partirà la nostra ricerca, che ci porterà dalla Filosofia dell’Amore a quella del Cuore e ci aiuterà non solo a comprendere l’Amore in modo diverso (o almeno ad averne un nuovo punto di vista), ma anche a vedere meglio la nostra realtà, come se la stessimo guardando con gli occhi del cuore.
L’idea di fondo di questo articolo è che l’Amore non è un verbo da coniugare.
Non esiste “l’amare” o “l’amarsi”, in nessuna delle sue coniugazioni, che siano: “io ti amo”, “io l’amo” o “io mi amo”. Quando poi questa usanza si va ad estendere al un plurale definito, come “vi amo” o “li amo”, le cose vanno ancora peggio.
Perché l’Amore non è un verbo?
Perché se c’è una cosa che l’essere umano sa a livello primordiale, una di quelle cose che conosce “a priori”, senza che abbia la necessità di scoprirla, è che l’Amore non è esclusivo, ma inclusivo.
La sua è, comunque, una inclusività tutta particolare, per comprendere la quale dovremo fare un saltino nel sufismo, in particolare in quello del poeta Jalāl ad-Dīn Muḥammad Rūmī.
Ma per adesso soffermiamoci un attimo sulla questione dell’esclusività.
Io amo te
Se io “amo te” o qualsiasi altra persona, allora ne deriva che non amo gli altri, o quantomeno riservo per loro un sentimento differente dall’Amore. La domanda che viene spontanea è chiedersi:
quale sentimento va al “non amato”?
Un benvolere, forse, ma con qualche tipo di riserva che ci permetta di fare quel passo indietro che, nell’Amore, non facciamo o non possiamo fare: l’Amore è talmente inclusivo che l’uno è parte dell’altro e non è possibile fare un solo passo di distanza, poiché l’Amore ci congiunge in un altro tipo di dimensione.
Il sentimento che viene coniugato al “non amato”, invece, è qualcosa che porta a manifestazione una sofferenza o insicurezza che non ci permette quell’apertura necessaria all’accoglienza integrale dell’alterità. In poche parole si potrebbe dire che dove non c’è Amore, c’è una ferita.
È un po’ quello che ne scrive il poeta sufi Rūmī…
L’amante perfetto
Sai tu che cosa dice il rabab,
parlando di lacrime
e di dolore bruciante?
Dice: “sono scorza rimasta
lontana dal midollo: perché
non dovrei piangere
nel tormento della separazione?”
Torna anche qui il concetto della separazione, come scorza rimasta lontana dal midollo: una lacerazione di due elementi che la natura vuole uniti insieme in qualcosa di più grande. Per permettere questa fusione di elementi è necessario un abbraccio, ovvero quella particolare comprensione che solo il Cuore sa compiere, che porta l’altro dentro di sé, lo accetta per quello che è, ed attende – senza giudicare – che sia esso a farsi scoprire, parlando da dentro.
Un altro modo di vedere l’Amore
La tradizione sufi mi riporta direttamente a due sponde a me molto care, tra loro distanti, ma profondamente interconnesse: su una troviamo il mio maestro preferito, G.I. Gurdjieff e sull’altra l’Immaginazione.
E, nonostante il mio cavallo da battaglia siano gli studi e le esperienze nei reami dell’Immaginazione, ora parleremo di Gurdjieff e della visione dell’Amore che anche lui, almeno attraverso le parole di uno dei suoi discepoli (J.G. Bennett, in “L’Uomo Superiore”), ci ha dato. Soltanto dopo, quando ritorneremo dall’Amore al Cuore, parleremo di Immaginazione.
Questa particolare Filosofia del Profondo presentata da Gurdjieff, fa riferimento ad una “scala di energie”, che vanno dal livello più basso, quello della chimica, a quello più alto, laddove troviamo – appunto – l’Amore.
L’Amore è una forza, un’energia, forse la più alta energia o Legge cui obbedisce l’Universo (si sa, difatti, che Battiato ha seguito molto tempo gli insegnamenti di questo maestro, e la sua scuola).
In breve, l’Amore è un livello di coscienza trans-personale cui l’essere umano può arrivare.
E se l’Amore è una cosa che “si è” (o quantomeno che “si può essere”), allora non è di certo una cosa che va coniugata come un verbo, perché è una questione ontologica e non grammaticale o linguistica.
Insomma quando siamo Amore, siamo una cosa sola con l’Universo intero, non c’è quella separazione che ci permetterebbe di coniugare l’Amore nei termini dell’amare…
Chiudiamo questo articolo con questa possibile lettura dell’Amore, lasciando al curioso la responsabilità della ricerca ulteriore, con le sue luci e le sue ombre e ricordando al lettore che l’articolo continua con “La Filosofia del Cuore. [2/3 Il cuore focolare e la realtà zolfo]”, in cui andremo a scoprire un diverso modo di vedere che opera attraverso l’alchimia dell’Amore e del Cuore.
Matteo, articolo che ti lascia sulla cima di una montagna: vedi il sole, l’immensità del cielo, ma sotto il prato di nuvole che hai superato rimane il quotidiano. Si può ora tornare indietro o aspettare il tuo nuovo articolo e spiccare il volo?
Emilio ^_^
e se invece di spiccare il volo facessimo come insegna
maestro Platone con il mito della caverna? Abbiamo visto
il Sole, la luce, il panorama, un’immensità di bellezza
e di gioia senza fine…
… anche se saremo creduti pazzi, il giusto compito per
questo tipo di esploratori è tornare indietro e condividere
con i fratelli (nella caverna), tanta bellezza.
Invece che spiccare il volo, insomma, ridiscendere tutta la
montagna, con la pazienza della lumaca, che porta sempre
con sé il peso di un “mondo” più vasto e tutta la protezione
e la gioia che può dare.
https://www.facebook.com/445923215433484/photos/pb.445923215433484.-2207520000.1418241617./970717422954058/?type=3&theater
Matteo, è tutta la vita che mi muovo con la pazienza della lumaca che porta sempre con se’ il peso di un “mondo” più vasto, ma quando sono in meditazione, mi trovo a levitare e volo su questo mondo. Volare via non è fuga, il non voler condividere con gli altri il mio dono, ma è purificazione, è rigenerarsi assorbendo l’energia che nutre il mio “io” racchiuso in un corpo limitato e imperfetto. Il continuo salire e scendere la montagna per poi tornare alla caverna è faticoso, ma nel tragitto lento si ha il tempo di interiorizzare ciò che si vedrà e quello che si è visto, per farne partecipi i fratelli che rimangono nella caverna. Questo è il compito degli esploratori: illuminare la caverna con la luce che abbiamo nel cuore.
Ora riconosco un vocabolario comune…
^_^
Personalmente ci tengo, ora, a non dire
più al mio corpo di essere “imperfetto”:
ho passato tanti di quegli anni a non
considerarlo, che ora che ne ho una più
precisa consapevolezza, non posso fare
altro che accorgermi che è solo la più
radicata, concreta e sensibile delle mie
rappresentazioni.
Se il corpo è in un certo modo, allora
anche nell'”anima” c’è qualcosa che non
va, qualche strappo, qualche ferita, o
soltanto una mancata coerenza tra l’etereo
ed il corporeo, che richiede una maggiore
presenza ed attenzione.
Tutti abbiamo un corpo un po’ più lento,
ma questo avviene perché il resto di noi
è energia ^_^
Bhe si, l’Amore è Amore e non si coniuga. Ma ci sono persone, nella vita di ognuno, che più di altre riescono a farci aprire il cuore e a metterci in connessione con quell’ Energia che ci riempie, ci inebria, ci fa danzare e ci riempie di gratitudine nei confronti della vita e dell’ Universo. E’ a queste persone che diciamo ” ti amo” .
Non è così anche per te quando guardi negli occhi tua fiiglia? ^_^
Ciao Monica!
Comprendo quello che dici, ma ci sono anche istanti dove non c’è nulla di preciso che ti fa sentire “Amore”.
Non sai ben dire se sia l’orizzonte fisico, quello della tua pelle o dei tuoi occhi, quello dell’Anima, ma da qualche parte senti un brivido, una corrente, e la vita ti sale.
E’ uno stato simile all’eccitazione ma che non ha bisogno di “niente e di nessuno”, è una vibrazione, un livello di energia sempre accessibile.
E quando guardo mia figlia negli occhi, riconosco di “essere in Amore”, ovvero “innamorato”.
Ma non “di lei”, quanto “grazie a lei”. A volte lei è la porta su quella frequenza, altre volte un tramonto, o una melodia.
Poi si impara anche a starci dentro (o ad “entrarci”, perché ho ancora un bel po’ da lavorare per dire di “starci dentro”) senza nessuno specifico richiamo o bisogno.
E lì, quando “il tu e l’io”, “l’Amante e l’Amato”, sono spariti, c’è la vera unione ^_^
E questo è “l’essere Amore”.
Sarebbe poi da dire anche quali sono le vie per questo stato.
Di quelle che ho potuto sperimentare, di certo, ci sono: la via del Cuore, l’Immaginazione, e l’Eros.
Che sono tra loro estremamente connesse, come si trova scritto anche nel mio libro “Le Stanze dell’Immaginazione” (capitolo su La Stanza n.7) ^_^
Bel post e bella discussione ricca di spunti di riflessione nei commenti.
Grazie! 🙂
Gentilissimo Massimo,
grazie a te per aver dedicato tempo a questo articolo ^_^
Buon proseguimento di ricerca!