
Pensare per immagini è qualcosa di connaturato all’essere umano: lo facciamo da sempre, per prevedere ed anticipare il futuro, prendere decisioni e costruire un presente migliore. Ecco in che modo l’immaginazione ed il pensiero prospettico ci aiutano nella vita di ogni giorno e come usarle al meglio.
Forse è inutile dirlo, forse è ripetitivo, ma: usiamo il pensiero immaginativo da sempre, è connaturato all’essere umano, ma… negli ultimi secoli abbiamo preferito il pensiero logico-deduttivo, quello che usiamo di più quotidianamente, il pensiero della scienza.
Eppure le cose non stanno proprio così: usiamo il pensiero logico per analizzare, dedurre (appunto), delle logiche e delle leggi, capire il funzionamento delle cose quando le abbiamo di fronte o ci troviamo immersi in esse, ma non ci serve a niente quando il nostro bisogno ha a che fare con l’inatteso, il nuovo, il sorprendente.
E questo vale sia nel macro, quando la scienza si chiede “cosa potrà essere, un domani, SE…”, sia nel micro della vita di ognuno di ogni giorno, quando ci poniamo domande su cosa faremo dopo, tra un giorno, un anno, un domani, o in una situazione alternativa, diversa da quella attuale, magari inattesa.
Faccio ricerca e pratico pensiero immaginativo da quasi 13 anni e non ho mai visto un periodo, come questo, in cui abbiamo avuto bisogno di reimparare questo tipo di pensiero, per produrre visioni alternative, orizzonti nuovi, per scongiurare opzioni terribili e facilitare una presa di decisione più consapevole verso scenari preferibili.
C’è pensiero e pensiero
Esistono tanti tipi di pensiero. Finora, in questo articolo, ne ho menzionati tre: logico-deduttivo, immaginativo ed il pensiero ricombinatorio (quando ho introdotto la formula “e se…”). Ma ne esistono molti altri, che in un modo o nell’altro si toccano ed intersecano tra loro, come ad esempio: il pensiero divergente (o laterale), il pensiero critico, quello sistemico, il pensiero strategico, quello narrativo, il pensiero visionario e prospettico, il pensiero poetico e magico, ecc…
Quello che ormai sappiamo con certezza, quantomeno dall’opera di Tversky e Kahneman, è che il pensiero logico-deduttivo non è esente da errori. Di fatto il pensiero prende spesso delle scorciatoie, chiamate euristiche, che lo portano a commettere ca. 210 tipi di errori diversi, i bias. I più famosi sono sicuramente:
- il bias di negatività, che attrae la nostra attenzione su quanto c’è di mancante (come per l’effetto Zeiganick), sbagliato o pericoloso – il che ci ha permesso di aumentare le probabilità di sopravvivenza, ma… aumenta anche il nostro malessere (ne parlo meglio nell’articolo sull’adattamento edonico);
- il bias di disponibilità: tendiamo a prendere in considerazione, o a reputare “più vere”, quelle informazioni delle quali già disponiamo o che possiamo reperire più facilmente;
- bias di rappresentatività: un tipico effetto di generalizzazione (termine più spesso usato dalla psicologia), per il quale si tende a prendere un elemento specifico, come validit di campione universale e generico;
- bias di conferma: il più insidioso – secondo me – che svela maggiormente qual è il confine del pensiero logico-deduttivo. Questo bias dice che siamo naturalmente portati a cercare conferme delle nostre idee ed ipotesi, piuttosto che – come fa un buon ragionamento scientifico – a metterli alla prova.
Insomma: per anni abbiamo considerato il pensiero logico-deduttivo come il migliore che avessimo, e invece…
Alle stesse conclusioni arriva anche Damasio, che nel suo “L’errore di Cartesio”, ci riporta casi di osservazione da un punto di vista neurologico (il caso Cage ne è un emblema), in cui attesta che il pensiero logico-deduttivo, da solo, non prende scelte ideali ed ha bisogno di altre strutture, come le percezioni fisiche e… l’immaginazione. Approfondisco il tema in questo articolo.
Il pensiero immaginativo
E il pensiero immaginativo, invece, come funziona? Anche quando immaginiamo non siamo esenti da errori e questo perché è possibile interferire in un processo immaginativo con la parte logica del nostro pensiero.
Di fatto, per poter usare bene l’immaginazione, bisogna proprio cambiare modo di pensare: da quello attivo, ad uno più ricettivo (ma non passivo), che richiede – in base ai livelli di visione richiesti – un rilassamento. Rilassarsi è, infatti, fondamentale per poter attivare una serie di processi analogici (non logici), come riporto in questo articolo sulla relazione tra stato di rilassamento e visione immaginativa.
Recentemente mi sono anche appassionato alle ricerche di Nicola De Pisapia, neuroscienziato che studia stati di coscienza “altri”, come il sogno lucido e la creatività. Interessante trovare la conferma del fatto che uno stato immaginativo attiva in contemporanea due zone del cervello: quella del Default Mode Network (DMN, la modalità di “base” in cui la mente si setta quando non pensiamo, come nel caso del mind wandering) e la parte cognitiva attiva, logico-razionale.
In questo stato di equilbrio, infatti, la mente produce e mescola (pensiero ricombinatorio) informazioni tra loro, in modo non lineare (DMN) e le può osservare coscientemente, attraverso processi di metacognizione consapevoli.
Questo è ciò che accade in un pensiero immaginativo: una maggiore creatività, ma non folle e sregolata, bensì sempre attentiva e talvolta (potenzialmente) intenzionale. Il pensiero immaginativo è quello di cui abbiamo bisogno quando cerchiamo delle alternative, non ci bastano le risposte razionali, abbiamo bisogno – come in questo momento storico – di cambiare le regole, per costruire qualcosa di nuovo. Ed è perfetto perché ci fornisce idee nuove ed utili.
Ne parlo con maggiore dettaglio, descrivendo anche esercizi per stimolare vari aspetti ed usi dell’immaginazione, nel mio ultimo libro: “Pensare per immagini“.

Il pensiero prospettico
Pensare in modo prospettico significa due cose:
- pensare in modo immaginativo;
- pensare ai futuri possibili.
Così come per il pensiero immaginativo, il pensiero prospettico è da sempre presente nell’uomo, anche se… in modo diverso per ogni epoca: d’altronde, nel tempo, è cambiata anche la concezione di “futuro”, quindi con essa è cambiata l’idea di prospettive, come ricordano bene Jennifer Gidley (autrice) e Robeto Paura (prefazione), in “Il futuro. Una breve introduzione“.
Da quando il futuro era considerato come “destino”, nelle mani di forze esterne (il pensiero mitico-magico ed in parte religioso), ad oggi, in cui parliamo di futuri al plurale e di complessità (pensiero sistemico e prospettivo), molte cose sono cambiate, eppure in un modo o nell’altro, già nelle caverne – quando pitturavamo la pietra – pensavamo a ciò che sarebbe potuto avvenire, al futuro.
Conoscere l’idea di “tempo” che sta sotto alla costruzione prospettica è importante, perché funziona da cornice: dà indicazioni molto specifiche attorno a quello che stiamo osservando con lo sguardo immaginativo. Però sappiamo bene che il tempo da solo non basta: i nostri assi cartesiani immaginativi hanno bisogno anche di uno spazio. E così, lo spazio-tempo diventa la cornice, il luogo, di una osservazione prospettica: vogliamo immaginare i possibili futuri di qualcosa, in un dato momento.
Eppure non basta. Perché, come insegna la costruzione prospettica geometrico-artistica, per creare prospettive ci servono:
- un orizzonte, cioè il confine oltre il quale lo sguardo non arriva ad indagare. È il riferimento spazio-temporale dato dal frame, dalla cornice;
- dei punti di fuga, i punti di interesse che partecipano alla costruzione di quello specifico scenario, aiutandoci a trarre le linee di costruzione;
- un punto di osservazione, il punto (mindset, necessità, problema) da cui osserviamo e costruiamo lo scenario. Il nostro “perché siamo interessati a scoprire quel qualcosa”. Praticamente quello che descrivo nel mio libro “Andata e Ritorno“, un manualetto tascabile con la “mappa” dei territori del pensiero ed i consigli per usare al meglio l’immaginazione.
E così, lavorando con pazienza, piano piano individuiamo tutti gli elementi di interesse, come dei puntini sparsi in un sistema disomogeneo, e poi li colleghiamo, come gli antichi fecero ideando le costellazioni, generando lo scenario, una rete di elementi interconnessi in modo complesso tra loro. Lo scenario o gli scenari, of course – dato che è bene lavorare con più alternative.

Pensiero immaginativo e benessere
Se il collegamento del pensiero immaginativo con i futuri può sembrare più semplice e scontato, quello con la felicità lo è meno e questa, di fatto, è la grande novità di questo articolo, per la quale appoggio le mie ricerche in diversi ambiti, ma in particolar modo sull’ultima ricerca di Martin Seligman, uno dei padri della psicologia positiva e, quindi, della Scienza della Felicità.
Sto parlando del suo “Homo Prospectus“, che chiude un cerchio per me molto importante, di studi sull’immaginazione dal punto di vista scientifico (“Handbook of imagination and culture” della Zittoun), sociologico (con “Immaginazione sociologica” di Wright Mills e “Progetto Sociologia” di Manza ) e antropologico (con “Homo imaginationis” di Wulf, “Sapiens“, “Homo Deus” e “21 lezioni per il XXI° secolo” di Yuval Noah Harari).
La ricerca di Seligman è attorno al benessere, quindi viene da chiedersi: perché sondare le prospettive, in questo senso?
E, ancora di più, perché definire l’uomo come un “homo prospectus”? Che caratteristiche avranno mai, queste prospettive, per prendere il posto di quel “sapiens” col quale ci definiamo?
È presto detto, Seligman lo svela nelle prima pagine: perché ciò che ci caratterizza, a differenza di tutte le altre specie, non è la conoscenza – dato che ogni specie ha il suo modo di fare conoscenza, assimilarla, costruirla ed usarla – ma l’essere umano è l’unico che costruisce prospettive.
Perché e come usiamo il pensiero immaginativo prospettico
In parte lo abbiamo già detto: perché abbiamo bisogno di costruire delle alternative alla realtà, soprattutto quando le cose non vanno, ed il pensiero logico non ci può aiutare nel farlo. Abbiamo detto anche che, con queste prospettive nuove, abbiamo più libertà di azione, quindi un maggiore potere decisionale ed una aumentata consapevolezza delle conseguenze delle nostre azioni. Quindi possiamo scegliere in modo più eco-sistemico.
E l’essere umano, come singolo e come collettività, ha bisogno di questo.
Non solo perché “siamo animali sociali” e quindi mettiamo al centro l’importanza delle relazioni (qui un video sul tema), ma anche perché se non avessimo potuto pensare alternative, costruire miti sociali, immaginare evoluzioni e scoprire orizzonti, non avremmo avuto evoluzione.
L’immaginazione, se usata bene, ci aiuta ad evolvere.
Ad individuare possibilità, fare scoperte, anticipare i tempi, realizzare futuri migliori.
I passaggi fondamentali che ho individuato in quasi 13 anni di ricerca e oltre 6000 ore di pratica, sono:
- individuare il “problema”
Quando studiavo meditazione e pratiche immaginative con Selene Calloni Williams (percorso di 3 anni in cui sono diventato counsellor), riportava sempre questa frase del suo maestro, che ho fatto mia: “Se non c’è problema, non c’è meditazione”. Vale lo stesso per le immaginazioni. Ed ho ritrovato lo stesso nel modello di lavoro che ho appreso come professionista di previsione strategica: si parte sempre da un problem setting ben fatto (come ad esempio io faccio anche aiutandomi con Le Stanze dell’Immaginazione Underground), dal comprendere la cornice di riferimento ed il punto di osservazione. - definire i driver
D’accordo che stiamo guardando ai futuri, ma… cosa guardiamo? È più un interesse sociale, politico, economico, ambientale o tecnologico (per usare la matrice STEEP)? O altro ancora? Così come con i punti di fuga nella prospettiva architettonica ed artistica, dobbiamo sapere su cosa costruire i nostri scenari. È una fase ancora di comprensione, in cui chiedersi non solo il perché del nostro lavoro, ma soprattutto che cosa ci aspettiamo di trovare. Sì, esattamente: chiedersi con anticipo cosa ci si aspetta di trovare, permette di migliorare l’esperienza immaginativa, senza inficiarla. - immaginare
Una volta definita la cornice generale ed i dettagli da osservare, siamo pronti per l’esperienza immaginativa (o immersiva o di simulazione), in cui andare a scoprire cosa ci attende. Se la prima fase era di problem setting e la seconda più di tipo informativo, il terzo step è quello veramente generativo e creativo, che spesso viene chiamato di “visualizzazione” (peccato che io abbia un’idea ben precisa della differenza tra immaginazione e visualizzazione). - riportare a terra
Se riprendiamo le parole di Platone, ogni esperienza di pensiero immaginativo è come un viaggio nell’iperuranio, il mondo delle idee, una specie di paese delle meraviglie da cui tornare colmi di bottino. Ma… non tutto quello che abbiamo visto ha una sua validità, fattibilità e/o corrispondenza con la nostra realtà, per cui l’ultima fase è quella valutativa: dobbiamo capire cosa farcene di quelle idee, visioni ed orizzonti, generando un piano di azione e prendendo delle decisioni.
Come usare al meglio il pensiero per immagini
Ci sono almeno 3 cose che puoi fare per migliorare le tue capacità di pensiero immaginativo:
- leggere tutti i libri che ti ho menzionato e metterti a fare pratica. Ci vorrà del tempo, ma è sicuramente un’esperienza che vale l’impegno di fare.
- imparare delle pratiche di pensiero immaginativo già pronte, che ti aiutano in questo processo. Sì, esatto: come Le Stanze dell’Immaginazione®
- farti accompagnare a liberare il tuo pensiero immaginativo, scoprendo pratiche di pensiero immaginativo già pronte, imparando ad usarle in modo autonomo e portando avanti un profondo lavoro di auto-consapevolezza, guidato. E questo lo faccio SOLO nel programma annuale di benessere e consapevolezza Vivi365: happinessforfuture.it/vivi-365

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