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16 Ottobre 2014 By Matteo Ficara 4 Comments

Immaginazione e Sé. [art. 3/3: i due mondi e il fiume Immaginazione]

Immaginazione e Sé. [art. 3/3: i due mondi e il fiume Immaginazione]

L’Immaginazione è come un fiume, un flusso continuo di informazioni che scorre tra due realtà: quella visibile della realtà che conosci e quella invisibile del mundus imaginalis.

Con questo concludiamo il nostro viaggio nella Filosofia del Profondo legata al tema dell’Immaginazione, rispondendo ai quesiti che ci eravamo proposti:

  • In che modo, l’Immaginazione, rende possibile la formazione stessa del Sé?
  • Come può aprire le porte ad esperienze di profonda auto-conoscenza?

Questi interrogativi ci hanno portati a riflettere sull’aforisma di Jung : “L’Immaginazione apre le porte ad esperienze profonde del Sé e rende possibile la formazione stessa del Sé”.

 L’Immaginazione 

Nel primissimo articolo di questa trilogia abbiamo visto che cosa l’Immaginazione non è: non è un sinonimo della fantasia e non è neanche una facoltà della mente, perché le sono proprie delle caratteristiche ontologiche.

Nel secondo articolo, invece, abbiamo visto che cos’è l’Immaginazione, e lo abbiamo fatto parlando di Henry Corbin ed i suoi studi della cultura sufi, che lo hanno portato alla formulazione di un nuovo termine, che potremmo scrivere come “immaginale”, capace di sopperire alle mancanze culturali per ciò che concerne il senso profondo dell’Immaginazione:

L’Immaginale è quel luogo (regno) dotato di qualità ontologica, che si interpone tra il mondo sensibile ed il soprasensibile, permettendo la comunicazione tra essi, attraverso la sua qualità sacra (il tempio) di manifestare immagini profetiche [cit. da articolo 2/3]
Il linguaggio tra i due mondi è l’Immaginazione, il simbolo è il suo alfabeto ed il cuore il suo ricevente.

E non è tutto.
C’è un’altra cosa che l’Immaginazione “è”: un enorme Fiume, che scorre “da destra verso sinistra”, dal futuro verso il passato, dal simbolo all’archetipo, portando informazioni ed idee.

Questa concezione, simbolica, mi è pervenuta in uno dei momenti di minore ragionamento e maggiore riflessione (della differenza tra i due, avremo modo di parlare). Uno di quei momenti che la psicologia definisce con il termine “insight” e che sono molto simili, mi sembra, alla qualità intuitivo/ricettiva della cultura profetica.

Perché un Fiume? E perché scorre da destra a sinistra?
E, ancora, perché il futuro sarebbe simbolo ed il passato archetipo?

Ne abbiamo già detto qualcosa nel primo articolo, parlando delle rappresentazioni mentali, laddove il passato era la memoria ed il futuro, l’immaginazione. Ma ora estendiamo il ragionamento, allontanandolo da questa sponda, per comprendere in che modo il passato sia archetipo ed il futuro, simbolo.

La realtà della cosa è molto semplice:

  • il simbolo è quell’immagine che ha una forma specifica (i 22 Tarocchi, ad esempio), ma un contenuto misterioso ed inesauribile (“il simbolo da a pensare”, direbbe Paul Ricoeur), esattamente come il futuro: sappiamo che c’è, ma non che cosa contenga;
  • il nostro passato, soprattutto quello culturale, è – metaforicamente – interpretabile come il risalire dal tessuto al filo, unico ed originario, con cui è creato: le culture antiche, al di là della distanza geografica (e comunicativa), hanno tramandato dei concetti, straordinariamente simili. Un esempio è la “Madre Terra”, da alcuni intesa come una donna sinuosa, da altri come una donna dalle forme abbondanti. E sono proprio queste le caratteristiche dell’archetipo: è differente nella forma, ma sempre identico nel contenuto.

Tra il simbolo e l’archetipo, tra il futuro ed il passato, c’è un continuo passaggio di in-formazioni (ovvero quegli input che “danno forma”), simile ad un Fiume in piena. E’ il concetto della generazione nella filosofia delle emanazioni di Plotino ed anche della creazione nella cultura ebraica (le Qlipoth).

Inoltre ci sono anche delle in-formazioni che viaggiano in senso “verticale”: se la destra e la sinistra, il futuro ed il passato, sono l’asse orizzontale del fiume, quello verticale è quello che connette le due sponde. E’ il Fiume stesso, l’Immaginazione, dentro la quale galleggiano (prendono forma) le Idee – si pensi, qui, alle Idee di concetto platonico.

Ecco, quindi, come l’Immaginazione è anche un Fiume, che separa ed unisce le due sponde, i due mondi, quello al di qua della percezione (il mondo, appunto, detto “sensibile”) e quello al di là della percezione.

 I diversi Sé 

Ma che cosa sono, in realtà, queste “sponde”?
Che cos’è un “al di là”?

È interessante il concetto che ne porta, al riguardo, Igor Sibaldi. Qui lo citiamo quando parliamo dell’ “al di là personale”. Ecco, è già difficile pensare ad un “al di là”, che pensarlo addirittura “personale” sembra qualcosa di impossibile, anzi, forse piuttosto di “ingiusto”: la nostra cultura intende l’al di là principalmente come un “regno dei cieli”, il paradiso a cui tendere dopo la morte e dove tutte le anime pie saranno accolte.

Eppure “al di là” è tutto ciò che non appartiene al mondo sensibile ed il mondo sensibile è dato dalla capacità dei nostri sensi. Ecco in che modo è possibile un “al di là personale”.

Ma che cosa vuol dire “personale”?

Spesso questa, che è una domanda fondamentale, passa per essere data per scontato. Persona è una parola che deriva dal greco prosopa, la maschera che si portava sul palco del teatro. Se “persona” significa “maschera”, allora le personalità sono tutti quegli “io divisi” che siamo durante il giorno.

Che cos’è un “io diviso”?
Che legame c’è tra l'”io” ed il “Sé”?

Parlare di un “io diviso” richiama di certo la tradizione junghiana, che – ahimé – ancora non conosco così approfonditamente per poterla prendere a confronto. Quello che posso fare, invece, è parlare dell'”io” dal punto di vista, doppio, della filosofia e del mondo del coaching, che ho navigato per ben 4 lunghi anni.

L'”io” filosofico è l’“iità”: quel qualcosa che ti distingue dalle altre – chiamiamole – individualità e, al contempo, che ti rende quello che sei. Una specie di “virtù” del ventesimo secolo, calzata sul prototipo individualista del tempo. In un altro articolo vedremo il legame tra l'”iità” e la coscienza, ma ora andiamo avanti.

Tra l'”io” ed il “Sé”, invece, non c’è alcuna differenza. Non ne modo che ho io di intenderle, per lo meno: il Sé (con la maiuscola) è assimilabile al Brahman della cultura orientale, di cui il “sé” (con la minuscola) è l’Atman.
E’ qualcosa come il “sé individuale o diviso” che quando si realizza torna a fondersi con il “Sé universale o non diviso”, solo che la nostra cornice di riferimento resta quella “intra-psichica”: l’universo è il nostro io-di-profondità.

 Esperienze di profondità: Immaginazione e Sé 

Ma che cosa significa dire che l’universo è il nostro io-di-profondità?

Significa, anzi tutto, tornare a vedere il significato del termine “universo”, che viene dal latino uni-versum, ovvero “che ha un solo verso”, una sola direzione, ed altro non c’è che l’io, poiché nessuna esperienza è verificabile all’infuori di esso: per sapere che determinate realtà sono tali anche per altre “iità” o per sapere – per estremo – che effettivamente le altre “iità” non sono mia pure rappresentazioni mentali, dovrei per un attimo uscire dal mio punto di coscienza e vedermi, contemporaneamente, da un altro.

In breve: non possiamo sapere se la realtà esiste al di fuori di ciò che percepiamo.
Non possiamo saperlo a meno che non ci riconnettiamo con l’Immaginazione.

Essendo il Fiume, il canale di collegamento, tra il mondo sensibile ed il non-sensibile, l’Immaginazione permette di approfondire l’esperienza di conoscenza di sé, perché ci conduce nei reami dove il sé individuale (diviso) si riconnette con l’universale, ovvero: l’Immaginazione permette la comunicazione tra l’io-di-superficie e l’io-di-profondità.

Questa sua particolare natura è il suo dono alla nostra conoscenza, perché l’Immaginazione permette di entrare nella realtà delle cose al di là della nostra percezione, valicando i confini del capire razionale ed aprendo un canale di comprensione interiore, che riceve le informazioni nel cuore.

 

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Filed Under: Blog, Filosofia del Profondo, Immaginale Tagged With: Esplorazioni dell'Io, filosofia, Filosofia del Profondo, Henry Corbin, Immaginazione, Jung

Matteo Ficara

Filosofo, Scrittore
Ideatore di Le Stanze dell'Immaginazione®

Mi impegno a scorgere visioni migliori e a narrare prospettive per realizzare un'evoluzione verso la Specie Felice.
Fin dalle caverne abbiamo raccontato chi siamo nelle immagini disegnate e nelle storie narrate. Raccolgo queste storie antiche, decodifico le immagini con cui ci rappresentiamo oggi e mi impegno a pensare futuro.
.
Scopri di più su di me nella BIO.

Comments

  1. Emilio says

    6 Dicembre 2014 at 20:29

    Matteo, come si può commentare qualcosa che inconsciamente senti da una vita e che ti trovi davanti agli occhi scritto e quindi “incarnato” o diventato reale? Quindi di nuovo grazie, non sono “pazzo”. Ma sono “normale”?

    Rispondi
    • Matteo Ficara says

      7 Dicembre 2014 at 22:04

      Emilio,
      anzitutto: grazie a te!

      In secondo luogo voglio soffermarmi sul termine “normale”…
      la prima cosa che ho voluto scrivere durante i miei anni di
      università è stato un breve saggio dal titolo “Critica al
      concetto di normalità”, dove mi accanivo contro i danni che
      questo concetto ha provocato nella società e, in particolare,
      nei suoi singoli individui.

      Io credo nell’identità e credo che la vita non abbia mai
      riprodotto nulla di assolutamente identico da quando c’è.
      Anzi, credo che se si presentassero anche solo una volta
      due cose perfettamente identiche, l’intero Universo …
      collasserebbe.

      Su queste basi è proprio impensabile una “normalità”, no?
      Ma magari mi divertirò a scriverci un articoletto, prima o
      poi… ^_^

      Rispondi
      • Emilio says

        8 Dicembre 2014 at 21:07

        Matteo, sarebbe un articolo interessante perché in questo periodo il concetto di normalità è sinonimo di conformismo: dobbiamo essere tutti uguali, il diverso fa paura. Io mi sento diverso da quando sono nato, e tu? Non sono bravo come te a scrivere ciò che ho dentro o a esprimerlo a parole, ma ho imparato non aver paura di vivere la mia non-normalità, non ho più paura di mostrarmi diverso nei comportamenti e nel vedere il mondo rispetto agli altri.

        Rispondi
        • Matteo Ficara says

          9 Dicembre 2014 at 0:51

          Ciao Emilio,
          leggo con piacere le tue righe e ti rispondo che non mi
          sono mai sentito “normale”, ma non per questo mi sono
          sentito “diverso”.

          Credo che ci sia un baratro, tra le due cose, e non ho
          nessuna voglia di entrarci. Per cui preferisco accorgermi
          che, come essere umano, ho tantissimi punti di contatto
          con tutti gli altri fratelli e sorelle sul pianeta: pregi
          e difetti, intendo, che mi caratterizzano come “essere
          umano”.

          Però ho delle peculiarità, come tutti le hanno, che mi
          ricordano in ogni istante che sono “un pezzo d’arte”,
          unico di una unicità che è anche una mia responsabilità:
          se non porto il mio contributo unico al pianeta, con il
          semplice “essere quello che sono”, l’intero universo non
          potrà mai partecipare di quel miracolo che sono e che
          tutti noi siamo.

          ^_^

          Rispondi

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Filosofo, CHO, Futurista
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