
Cosa unisce l’antica filosofia induista Līlā – che vede la realtà come un gioco o un’illusione – ai moderni smartphone e alle modificazioni che stanno portando sulla Specie, con prospettive per il futuro? Il gioco e la gamification.
Da tempo conosco la filosofia induista Līlā, termine che – dal sanscrito – significa “gioco”, “apparizione”, “illusione” e l’ho spesso ripresa accostandola alla psicologia comportamentale (che ho incontrato solo all’università), per raccontare come sia possibile vivere “come se fosse un gioco”.
Solo recentemente, però, sono riuscito a fare un ulteriore “2+2”, accostando al gioco anche le più recenti tesi di Jane McGonigal, le ricerche sulla gamification e… il bellissimo “The Game” di Baricco, venendone fuori con una specie di algoritmo su cui ideare alcune caratteristiche per una nuova Specie.
La realtà in gioco
Tempo fa incontrai un testo bellissimo, tradotto dalla Apogeo col titolo “La realtà in gioco”, che non dà merito all’originale: “Reality is Broken“ di Jane McGonigal. Quando scrisse quest’opera, la McGonigal era a capo del reparto “Ricerca per il futuro” di Palo Alto e si occupava di comprendere – tesi esposta anche nel libro – come il gioco potesse riparare una realtà “rotta”.
Viene da chiedersi come sia possibile. Chiediamoci anche, allora: “Cos’è la realtà?”.
Potremmo partire con questa domanda e – nel tentativo di darci una risposta – non fermarci mai.
La filosofia induista ci risponde con: “Līlā, la realtà è gioco”. E di fatto in-ludere significa “stare nel gioco” (è un tema che ho affrontato nell’articolo “Ragione e Illusione“). Sembra quindi ci sia una relazione stretta tra la realtà e il gioco, ma ancora non si comprende quale sia.
Cos’è il gioco? Questa la seconda domanda che bisogna farsi.
Gioco e Immaginazione
Se pensi al gioco iniziando a pensare ad un oggetto, sei fuori strada: il gioco viene prima dei giocattoli. Ci si potrebbe chiedere se corrisponde al corpo, a quella bellezza che i bambini provano nel semplice “iniziare a correre” o esplorare il proprio corpo, eppure si cade poi nel fatto che il gioco viene ancora prima della consapevolezza del corpo: il gioco è Immaginazione (che il gioco sia una delle forme della nostra capacità immaginativa è anche tesi in “Handbook of Imagination and Culture” di Tania Zittoun e Vlad Glăveanu).
Il gioco è la possibilità di creare / disfare continuamente la realtà, creando prospettive, mondi e… realtà.
Tesi in qualche modo sostenuta anche dalla teoria della sovrapposizione quantistica (puoi leggerne qualcosa grazie al gioco del “gatto in scatola” di Schrödinger): per cui un evento può cambiare forma in base alla direzione che prenderanno sub-eventi ad esso collegati, anche in modo del tutto remoto (per via dell’entanglement).
La realtà è quindi un gioco di prospettive che oscilla tra possibilità e creazione: da un piano di caos pieno di possibilità, qualcosa viene alla creazione (viene al mondo) e inizia a lasciare una traccia per poi tornare nel regno del possibile.
Il gioco e lo smartphone
La società odierna, quella dello smartphone, nasce dal gioco.
Non sono io a dirlo, ma è Baricco a ricostruire questa archeologia nel suo ultimo libro “The Game“ (“Il Gioco”, appunto) e lo fa andando a fare una speciale archeologia della modernità digitale, scoprendo che proveniamo tutti da… un videogioco: Spacewar.
Nel libro Baricco parla diffusamente di queste “origini ludiche”, citando anche un articolo di Stewart Brand che, il 07 dicembre del 1972 su Rolling Stone, ci descriveva l’ambiente di nascita di quella che sarebbe stata la nostra cultura: il laboratorio di ricerca artificiale di Stanford, nelle mani degli hacker (qui trovi un articolo di Pietro Grandi, con foto della rivista).
E così, anche gli smartphone sono nati da lì. Lo dimostra bene Steve Jobs, quando presenta il primo iPhone: si diverte un casino, proprio come se stesse giocando.
E, di fatto, quel mondo digitale che abbiamo sempre in tasca, è stato creato volutamente così: lo smartphone è un gioco che permette di interagire con la realtà, di modificarla, prevederla, crearla.
Gamification e Specie
Tutti i social network, oggi, si basano sul gioco: quei “like”, i colori pieni ed elementari (tipici dei bambini), la semplicità nell’uso…
Questo fatto non è da poco: abbiamo creato un approccio alla vita, all’apprendimento, alla conoscenza, alle relazioni e al lavoro, tutti incentrati sul gioco. È per questo che la gamification oggi è così studiata: si cerca di comprendere quali sono le funzioni del gioco, per poterle portare ovunque per rendere più piacevole luoghi, cose da fare, situazioni.
L’approccio giocoso alla vita – Līlā – ha creato però anche effetti negativi:
- l’attitudine di creare profili online ha creato sfiducia e un’enorme superficialità e mancanza di rispetto che portano spesso a bullismo digitale;
- social network e i videogiochi hanno creato un nuovo tipo (terribile) di dipendenza (allo stesso modo delle droghe);
- l’accesso ad una vita “scorrevole” ha abbassato la soglia della nostra attenzione, ridotto la capacità di assimilazione delle informazioni, dell’apprendimento e della creatività;
- l’accesso rapido alle informazioni ha disincentivato la ricerca e indebolito il senso critico.
Viene da riflettere – quindi – in chiusura, che forse non è proprio questo il “gioco” che hanno indicato la filosofia antica e ricercatori di oggi. Cosa è accaduto, allora, che ha trasformato quel “gioco che ripara la realtà” della McGonigal e che “crea mondi”, in qualcosa di così negativo?
Ci lasciamo con questa domanda ed un’ipotesi: che sia stata la strumentalizzazione del gioco al mondo del business a rovinarlo?
D’altronde quel consumismo, oggi, ha come oggetto “di consumo” non più solo il denaro, ma l’attenzione, l’intelligenza, la vita stessa dell’essere umano…
Lascia un commento