
“Il dubbio è una passerella che trema fra l’errore e la verità” – G. Bufalino
Chi ha dovuto mettere tra parentesi il suo mondo (epochè), almeno una volta? E quante volte è successo?
Quell’arma a doppio taglio, il dubbio del Filosofo, è la marea che erode i pilastri della certezza e ci permette una via d’accesso al Mondo Invisibile dello Sciamano.
In quegli spazi di silenzio, incertezza, a volte perdizione, si affacciano realtà inattese, spiragli di luce che vengono da un al di là dell’ombra, di quella oscurità che da sempre l’uomo identifica nel confine tra il sapere ed il non sapere, e quando raggiungono la mente ed il cuore, aprono la coscienza ad una conoscenza di sé più vasta e profonda.
Andiamo quindi a scoprire perché avviene questo processo, e ad imparare come farlo avvenire…
Il Dubbio del Filosofo e l’epochè
La parentesi che mettiamo sul mondo, o che i fatti ci invitano a mettere sulle cose, è spesso un momento spazio temporale fondamentale per fermarsi e scoprirsi ad un nuovo livello di consapevolezza.
Il Dubbio è uno strumento che il Filosofo usa o come mestiere o come naturale modus vivendi: non gli basta vedere o sapere qualcosa, ma in lui c’è un’urgenza di andare oltre. Non può accontentarsi di quanto ha appena scoperto, perché potrebbe essere fondato su un errore, un preconcetto, una congettura, un giudizio che lo allontana dalla verità delle cose.
Per chi fa una ricerca personale, non “astratta” (come spesso fa la filosofia teoretica pura), la conoscenza della “verità degli oggetti”, è la cosa più importante, perché permette di conoscere il mondo che sta al di là della percezione personale.
Epochè e giudizio – dare forma al mondo
Fino a che la conoscenza errata delle cose è nei dettagli, non crea grande scompiglio (anche se dovrebbe).
Ma quando portiamo l’Epochè sul mondo stesso, sull’idea che ne abbiamo, su quelle certezze sulle quali, in modo del tutto non consapevole, appoggiamo il nostro vivere, in tutte le azioni, allora le cose cambiano e l’Epochè, il Dubbio, acquistano un valore inestimabile.
Qualcosa ne ho già accennato nell’articolo su “L’immagine di un dio… (ed il terremoto)“, dove si prendeva spunto dal fenomeno del terremoto. Ma facciamo un’altra ipotesi: l’idea della terra piatta.
Io non sono un “terrapiattista”, come si usa dire oggi, e né un “terrasferista”. Non credo, cioè, a nessuna delle due posizioni: né che la Terra sia piatta e né che sia sferica. Ma sono grato all’idea della Terra Piatta, perché è venuta a mettere a soqquadro il nostro sistema di pensiero, chiamandoci all’Epochè, al Dubbio, su una certezza fondamentale.
E dato che attraverso le conoscenze acquisite ed ai giudizi che diamo alle cose, noi – effettivamente – creiamo il mondo in cui viviamo, allora credo sia importante mantenere sempre attiva l’Epochè.
Mantenere attiva l’Epochè significa, in definitiva, che tutto è vero e non vero allo stesso tempo.
Una formula simile a quella del famoso “gatto di Shroeddinger”: un ipotizzato esperimento che mette in forma metaforica alcune delle teorie di fisica quantistica. Secondo questa metafora, se prendo un gatto ed una boccetta aperta di veleno aeriforme e li chiudo in una scatola insieme, fino a che non apro la scatola il gatto è sia vivo che morto.
Il Mondo Invisibile dello Sciamano
In pratica, come diceva anche il mitico sciamano Don Juan (ridendosela di Carlos Castaneda): fino a che non “chiedi” al mondo di prendere una forma, tutto è possibile, tutto è Miracolo. E la “richiesta” è l’atto stesso di porre l’attenzione cosciente sulle cose. Ahimè spesso questo viene fatto solo col giudizio e non con la Meraviglia o con l’Epochè.
Lo Sciamano (e così anche un’Anima Selvaggia) conosce la “non oggettività delle cose”, sa che quello che si vede, o si vive, è solo un frangente, uno spicchio, una delle infinite possibilità, dei tantissimi mondi, i Mondi Invisibili, a cui poter avere accesso.
Ecco quindi che per accedere al Mondo Invisibile dello Sciamano bisogna imparare ad approcciarsi alle cose col Dubbio, con l’Epochè, la Meraviglia. Bisogna imparare, quindi, a vedere le cose al di là di quello che pensiamo che siano, permettendo loro di avere una propria “verità”.
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