
Ci vediamo diversi, ma non lo siamo. Lo siamo perché siamo tutti unici, ma quelle differenze che percepiamo – spesso culturalmente e socialmente – e ci fanno pensare all’altro in modo “peggiore”, si basano su bias cognitivi.
Siamo in un momento storico di grande rilievo per il tema delle differenze di genere (#metoo, LGBT) e razza (#blacklivesmatter), di revisione dei concetti di umanità e normalità, sotto alla lente dell’autenticità e di un nuovo umanesimo.
Ci sono interessanti ricerche e studi sul fatto che, spesso, tali percezioni di diversità si appoggino su bias cognitivi, “errori” del pensiero, se vogliamo, che ci portano a pensare in un modo (errato) piuttosto che in un altro o ci rendono difficile l’apertura mentale.
La buona notizia? È possibile superare questi ostacoli, pensare in modo libero, per agire in modo etico.
Pensiero e Bias
Faccio ricerca sul tema del pensiero ed i bias cognitivi sono uno dei focus che mi attirano di più.
Ho qui in casa un foglio in A3 con tutta la lista dei bias… ogni volta che lo guardo, allo stesso tempo mi motiva (quanto c’è da scoprire e sapere!) e mi demotiva (la quantità di studio implica dei tempi lunghissimi). Però, insomma… un pezzo alla volta.
Recentemente riguardavo una serie di articoli su GreaterGood, tutti legati al tema dei bias cognitivi e della percezione delle differenze di genere e razza, .
C’è stata una grande produzione di contenuti su questo sito, da parte della Berkeley University, che hanno dato un ottimo contributo in un momento così importante e delicato, in particolar modo allineandosi con movimenti e temi come #metoo, #blacklivesmatter e LGBT.
In particolare mi sono soffermato su tre articoli:
- come puoi combattere i bias cognitivi
–» how people can fight bias
. - com’è possibile lavorare con i bias nel tuo cervello
–» how to work with bias
.
- cinque modi per ridurre il bias razziale nei bambini
–» 5 ways to reduce racial bias in your children
In questo articolo voglio riassumere un po’ i temi e gli studi importanti tratte da questi articoli e da tutta la ricerca che hanno alle spalle.
Differenze e Bias
Partiamo dagli inizi: da dove si generano le differenze?
Alcuni studi tendono a dimostrare che la percezione della differenza avviene in modo spontaneo fin da bambini. Ma un conto è riconoscere delle differenze (fisiche), un altro è avere dei preconcetti, che invece si formano in relazione agli ambienti sociali e, quindi, anche all’educazione che riceviamo:
Children notice difference across racial lines. Even from a very young age, babies scan a face differently if it belongs to someone of a different race, suggesting that racial bias may be hardwired.
But noticing difference is not the same as having negative or positive beliefs around difference. Those types of judgments develop over time and are influenced by many things, including the social climate children grow up in and the experiences they have that confirm or disprove their biases.
This is where parenting comes in. Though it’s clear that parents are not solely responsible for biasing their kids one way or the other, science suggests that they do play a role—and an important one. In fact, their influence may extend well beyond a child’s early years and into adolescence.
Bias: il cervello lavora attraverso una categorizzazione.
In qualche modo, quindi, possiamo dire che i biases facciano parte di noi: sono il modo che il cervello usa per creare categorie al fine di comprendere il mondo e per semplificare processi di pensiero. Ma a volte li semplifica un po’ troppo, viziandoli.
In poche parole: il cervello si adatta e riconosce come “sicuro” ciò che è simile o conosciuto.
Sono le parole della ricercatrice Jennifer Lynn Eberhardt, una psicologa sociale afroamericana attualmente professoressa presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Stanford:
Bias is a natural byproduct of the way our brains work, writes Eberhardt.
First, babies naturally learn to distinguish faces of their own racial group better than faces of other groups because their perceptions are shaped by what they see most often. Our minds also categorize objects in our world, helping us to ignore or take for granted what’s familiar and attend to what’s novel. This capacity allows us to make sense of all the information coming through our senses and to differentiate between what’s safe and what’s not safe.
–» fonte: how_to_work_with_the_bias_in_your_brain
Fino a che punto può arrivare l’influenza di un bias cognitivo?
Una ricerca della Eberhardt, condotta tra scuole e forze di polizia americane, sembra dimostrare che c’è un’effettiva tendenza a vedere più facilmente la “criminalità” in un volto dalla carnagione scura, piuttosto che in uno dalla carnagione chiara.
“Our experiences in the world seep into our brain over time, and without our awareness they conspire to reshape the working of our mind,” she writes. The problem lies with how this can lead to categorizing people as “good” or “safe” versus “bad” or “unsafe,” based on familiarity. Coupled with social stigmas surrounding different groups of people, this tendency is a recipe for prejudice.
Eberhardt traces a long line of research showing racial bias plays a role in everything from how teachers treat their students to how employers make hiring decisions to what neighborhoods a person can find a place to live in. In the U.S., for example, cultural stereotypes of “angry black males” can lead people to misinterpret emotional expressions on black faces and see anger or threat that isn’t there. Additionally, ambiguous actions are seen as more violent when taken by a black person than a white person.
–» fonte: how_to_work_with_the_bias_in_your_brain
Insomma: la differenza di genere è anche un problema di bias cognitivi.
È una considerazione importante, perché da una parte ci permette di comprendere che alcune cose, ad esempio che il problema non è “solo” culturale, ma ha un’origine nei processi del cervello e che, quindi, si può fare qualcosa per cambiare.
Come superare i bias cognitivi
È possibile lavorare sui propri bias.
Se cercavi una buona notizia, eccola: nonostante ci possa essere la tendenza a crearsi delle idee preconfezionate, è possibile lavorare sui propri bias e cambiare i processi di pensiero.
Possiamo superare i bias ed ampliare le nostre capacità di pensiero e rendere il processo decisionale più libero e consapevole. Lo dicono anche alcune ricerche che trovi su Harvard Business Review.
Negli articoli della Berkeley University ci sono anche alcuni suggerimenti utili ed interessanti, per comprendere cosa fare e come:
- tenere attiva una mentalità di crescita
Chi ama la crescita è più consapevole di poter sbagliare ed è naturalmente più aperto all’errore, a non avere ragione e alle diversità. Significa essere aperti, pronti ad uscire dal proprio “monolocale della ragione” (così lo definisco nel mio ultimo libro “Andata e Ritorno“) per incontrare l’altro, altre idee, visioni, prospettive ed orizzonti.
. - ampliare le proprie prospettive
Il titolo originario veniva tradotto con: “riconoscere il proprio privilegio ordinario e utilizzarlo”, ma ho dovuto riadattarlo, perché era incomprensibile. In breve, il paragrafo conteneva una riflessione interessantissima: siamo spesso abituati a considerare noi stessi e gli altri in relazione ad un giudizio di “merito”. L’invito, invece, è a considerare anche l’intervento della fortuna, in quel successo. Questo ci porta a considerare le storie di altri in modo più ampio, cambiando narrazione e uscendo dai confini di una prospettiva ridotta ed auto-centrata. In poche parole siamo abituati a darci sempre ragione (confirmation bias) ed uno dei modi di superare i bias è quello di iniziare ad entrare nei panni degli altri.
. - puntare sulla consapevolezza
E per fortuna questo punto non richiede grandi spiegazioni. Secondo le ricerche di Chugh, quando siamo “fissati” con un’idea o pensiamo di avere ragione o siamo “innamorati” di qualcosa, tendiamo ad evitare di vederne i lati negativi: ad esempio lo sfruttamento minorile alla base della produzione di scarpe o dell’estrazione del silicio per pc e telefonini. Lavorando in modo continuativo sulla consapevolezza, possiamo evitare ciò.
. - essere elementi attivi nella realtà
Siamo sempre a sistema con altre persone ed eventi e l’ultimo accorgimento è quello di essere elementi attivi in questo senso, per diffondere consapevolezza e portare contributo positivo verso emancipazione ed integrazione.
Ecco, questi sono i suggerimenti che puoi trovare anche negli articoli della Berkeley.
Come puoi notare, prima di tutto, è un lavoro di consapevolezza, di osservazione continua di se stessi, delle relazioni esistenti tra le cose e del mondo. Mi auguro che ora ne farai buon uso, per ridurre l’impatto negativo dei bias cognitivi, anche nel senso sociale.
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