
Per molto tempo si è pensato che il processo di decision making dovesse essere dominato dall’elemento razionale. La ragione ha importanza nel momento effettivo del decidere, ma al processo partecipano altri attori: il marcatore somatico delle emozioni e il cervello enterico, l’intuizione ed il cervello del cuore, i processi immaginativi ed infine la ragione.
Una volta ci affidavamo all’esperienza degli anziani, che erano riusciti a superare più prove che altri; oggi sempre più ai tecnici specialistici di un settore o un altro, che hanno studiato e sviluppato competenze.
Prendere decisioni richiede sicuramente di raccogliere le giuste informazioni e di dare una valutazione finale (la decisione, appunto), ma il decision making è tutt’altro che un processo prettamente logico: ad esso partecipano emozioni, sentimenti, immaginazione, intuito e più cervelli (della testa, dello stomaco e del cuore).
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Decidere
Tagliare via qualcosa.
L’etimo latino ci aiuta a comprendere un po’ meglio la natura finale dell’atto decisorio: tagliare via qualcosa. È tagliato e non potrà tornare come prima. Un passaggio forte, che non lascia spazio al tornare indietro. Certo crea altre vie, ma in qualche modo chiude.
Un intero processo, non un momento.
Ma di fatto, l’atto decisorio è solo il culmine di un più complesso e lungo processo (il “decision making”). Talmente complesso e lungo che chiama in causa tutto il nostro sistema: non solo il cervello, ma anche il corpo, le emozioni, la memoria, l’attenzione, l’immaginazione e molte altre facoltà e funzioni, oltre che sistemi corporei e neurali.
Cervelli
Cervello: ne abbiamo almeno tre.
È ormai conoscenza consolidata che abbiamo un secondo cervello, quello enterico (dello stomaco/visceri), che comunica col cervello della testa, inviando segnali sulla nostra condizione umorale (o meglio: “viscerale”). Ma di fatto ci sono ricerche interessanti d’oltre oceano, dall’HeartMath Institute americano, che indicano l’esistenza di un terzo cervello, quello del cuore.
Il cervello enterico (nella pancia).
Esiste una “guaina” di cellule nervose che riveste gli organi interiori (scoperta da Auerbach a metà ‘800) e che funge da centralina per tutte le decisioni che riguardano la digestione: selezione materie sane ed insane, movimento peristaltico, elaborazione dei liquidi e dei solidi, secrezione e coordinamento (un sistema assai complesso: più di 5mt di materiale organico in cui passano, in una vita, più di 30 tonnellate di cibo e 50mila litri di liquidi).
Il 90% degli stimoli lavorati dal cervello superiore derivano da impulsi inviati dalla pancia.
È il cervello nella pancia che percepisce le emozioni come l’innamoramento e le sue farfalle (ma anche: paura, tensione, stress) e invia messaggi cal cervello limbico, come trovi anche in “La comunicazione mente-pancia” di Mayer.
Un altro aspetto interessante del nostro secondo cervello è il suo modo di pensare: il cervello enterico ha una struttura funzionalmente identica a quella del cervello superiore – Emeran Mayer, docente all’Università della California.
Il cervello del cuore e l’intuito.
Tra le molte scoperte interessanti che vengono dall’HeartMath Institute, ce ne sono sicuramente alcune che riguardano direttamente i processi decisionali:
- il cuore ha un suo cervello: circa 40mila cellule neurali;
- il cuore – attraverso il ritmo cardiaco – comunica direttamente col cervello;
- il campo elettromagnetico del cuore è capace di capire per “intuito non locale”.
Decision Making ed emozioni
Emozioni e sentimenti.
Non è facile dare una definizione che differenzi bene emozioni da sentimenti. In linea di massima opto per qualcosa come: emozione è quanto avviene nel corpo, sentimento è ciò che ne percepiamo a livello cosciente (“sento di essere triste”). E da quanto ho compreso dalla prima lettura di “L’errore di Cartesio“, è un’idea molto allineata con le teorie del marcatore somatico di Damasio.
Perché è così importante parlare di questa teoria? Perché Cartesio ha sbagliato. O almeno questa è la teoria di Damasio, che – passando per la via della neurologia – tende ad affermare che mente e corpo non sono distintamente separate, anzi. La teoria è molto complessa, ma cerco di semplificarla un po’…
Il processo di pensiero è l’insieme delle funzioni di immaginazione, attenzione e memoria.
Queste sono necessarie per pensare e ragionare, in un processo che va dalla creazione di immagini (immaginazione), al fare focus su di esse (attenzione) e tenerle a mente (memoria) fino a che non si è presa una decisione. Le domande che vengono spontanee, però, sono: da dove nascono le immagini? Perché su certe portiamo la nostra attenzione e su altre no? Perché alcune riescono a sopravvivere nella memoria e altre no?
Il marcatore somatico.
Secondo Damasio, quello che accade ha a che fare col corpo e con le emozioni: il marcatore somatico. In poche parole: l’emozione è un cambiamento del pattern fisiologico, fisico, del sistema persona. Questo cambiamento attiva – in modo rapidissimo – una serie di processi che portano a galla le immagini e che gli conferiscono la forza di venire all’attenzione e di stare nella memoria.
Essendo il corpo, ed il sistema nervoso principale, i primi sistemi di pensiero degli organismi – mentre il cervello inteso come corteccia è solo l’espressione più moderna – allora accade che tutto il resto del sistema si è sviluppato a partire da corpo ed emozioni. La loro interazione diretta col nostro organismo ha generato in noi delle tracce (delle impressioni) e delle memorie emotive.
Queste memorie emotive, nel processo decisionale, partecipano in modo invisibile: danno origine ad immagini (sempre), attivano o meno l’attenzione sul fatto e le sue possibili conseguenze, palesano alla mente una serie di opzioni già selezionate, permettendo al sistema decisorio razionale di procedere su un “consiglio” emozionale primario.
Decision Making
Come usare ragione, pensiero ed emozioni.
Il processo decisionale è, quindi, qualcosa di molto complesso a cui partecipano tantissimi elementi. Come usarlo al meglio? Non ho una risposta, perché di studi se ne possono fare ancora moltissimi, ma qualcosa si può dire:
- La natura della decisione.
Non tutte le decisioni sono uguali: un conto è sapere che si vuole prendere una decisione (acquistare una casa o meno, o scegliere tra un prodotto ed un altro) ed un conto è trovarsi a prenderla all’improvviso (situazioni emergenziali). Un conto sono decisioni semplici (dire una bugia o meno per evitare del dolore ad un amico) e un conto decisioni complesse (redigere un articolo di una Costituzione). È probabile che, al di là dei processi interni del decidere, ci possano essere accorgimenti, strumenti, modalità diverse che si adattano meglio o peggio a determinati tipi di scelte.
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- Un procedimento complesso.
Prendere decisioni non è solo un momento, ma un iter molto complesso ed articolato.
. - Non solo ragione.
Al momento di prendere una decisione non conta solo la ragione e né si può dire che l’emozione è necessariamente qualcosa di negativo. Ci sono situazioni e situazioni ed è probabile, secondo la teoria del marcatore somatico di Damasio, che l’emozione sia sempre partecipe al processo decisionale, anche se in modo invisibile, suggerendo una serie di ipotesi e scartandone altre.
Ecco, questa è – forse – la conclusione di questa riflessione: per decidere meglio possiamo allenare le nostre skills di pensiero, ed anche imparare a conoscere, riconoscere ed alimentare in positivo le nostre emozioni.
Emozioni chiare, decisioni chiare.
Questo suggerisce la possibilità di lavorare ad una “base line emotiva” più consapevole e, soprattutto, positiva: non basata su rabbia, paura o stress, che innescano meccanismi di difesa (utilissimi quando necessario, ma non quando si innescano fuori luogo) e magari ci impediscono di vedere e valutare delle prospettive, bensì su emozioni che permettono di ampliare prospettive, come la meraviglia.
Allenare il pensiero.
Non basta solo pensiero critico. Certo è utilissimo nel discernimento che può avvenire alla fine del processo decisionale e nella valutazione delle fonti. Per decidere bene, abbiamo bisogno anche di rapidità di esecuzione, data da un’allenata attenzione e da una memoria che sa essere elettiva nel semplificare le informazioni, senza censurare e né perdere dati importanti. Necessitiamo anche di quella elasticità tipica del pensiero divergente e della profondità del pensiero filosofico. Inoltre non guasta nemmeno un po’ di pensiero sistemico, utile nell’illuminare le relazioni intime tra le cose, in particolar modo quando si pensa al futuro o a decisioni di tipo sociale.
Per chiudere…
Per decidere bene è utile saper pensare, saper sentire ed essere consapevoli di pensieri ed emozioni.
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