
“La vita è reale solo quando io sono”
– Gurdjieff
Già, ma che cosa è l'”io”? E, in definitiva, “che cosa sono”?
Queste domande ci guideranno in queste brevi esplorazioni dell’Io.
Certo, con queste poche righe non andrò a rispondere a questa domanda, supposto sempre che sia possibile dare una o più risposte, bensì – come dicevo – azzarderò un tratto di strada, una “esplorazione”, appunto, così come Bennett la descrive nel libro “L’Uomo Superiore”, testo da cui prenderemo qualche spunto dato che vi è indicata molta della teoria di Gurdjieff.
Quindi, andiamo a fare i primi passi in questa esplorazione…
Etimologia di “io”
Come ormai avrai ben capito, mi piace scoprire il significato dei termini dalla loro etimologia e dall’uso che ne viene fatto. Ed il termine “io” deriva dal latino “ego”.
Esattamente: quello al quale oggi ci si riferisce quando parliamo di “io” è quello stesso “ego” del quale in molti cercano – almeno a parole – continuamente di disfarsi.
In pratica cerchiamo di disfarci dall'”io”.
Per conoscere meglio questo “io” bisogna dare il via ad un viaggio, delle vere e proprie Esplorazioni dell’IO, iniziando dal termine, che nella nostra lingua è un pronome personale. Inoltre, dato che “persona” viene dall’etrusco persu e significa “maschera”, possiamo dire che l’io è una maschera.
Di fatto, ci avrai fatto caso, durante le nostre giornate siamo “più io diversi” e lo riconosciamo dal nostro agire (e spesso anche dal pensare) che cambia in base al contesto di riferimento.
A casa con la famiglia siamo un certo “io”, che compie determinate azioni e che crede di se stesso una serie di cose. Diversamente al lavoro, ed ancora diversi siamo quando andiamo in vacanza o quando siamo soli.
Tutti questi “io mutevoli” li abbiamo chiamati “maschere” o personalità (dall’etrusco persu, maschera).
Ed allora, ancora più che chiedersi “chi sono io?”, poiché ogni volta la risposta sarebbe nuova, conviene chiedersi direttamente “che cosa è l’io?”.
Esempi di “io”
Se, come dice Gurdjieff, “la vita è reale solo quando io sono”, allora vale la pena di cercare una risposta, di comprendere che cosa sia questo “io/ego”.
Abbiamo valutato il concetto di maschera/personalità come se fosse un insieme di “io differenti” in base ai contesti. Ma quali “io” sono? E, soprattutto: c’è un principio, di fondo, per cui possiamo essere “alcuni io” e non “altri”?
Sì, insomma: c’è un principio unitario che, sotto (o sopra) a tutti questi “io” ci permette veramente di dire “chi siamo”?
Questo “io” che, come dice Sibaldi, “esce di casa” è un io di cui si è sempre detto poco. Anche la teoria delle personalità di Jung (che è proprio quella da cui Igor Sibaldi inizia il suo racconto, in “Libro della Personalità”) è un po’ “statica”.
Insomma: puoi avere spiccata sensibilità o sentimento oppure essere intuitivo o “razionale” e a seconda della “differenziazione” di questi quattro aspetti e della loro inclinazione naturale (introverso/estroverso), si può dire “chi sei”.
In poche parole – secondo questo schema – il tuo “io” è la somma di qualità/aspetti della personalità che hai maggiormente o minormente sviluppato (concetto della differenziazione).
Ma questo, come comprendi bene, è un quadro un po’ immobile, che non tiene conto delle tantissime maschere che indossiamo e delle loro relazioni con l’esterno: magari in alcune situazioni (Gardner con le intelligenze multiple lo sosterrebbe) possiamo essere più facilitati nell’intuire, che non in altre.
E quando questo “io” entra in relazione con il mondo esterno, che cosa succede?
Quando, insomma, iniziamo a dondolare di ambiente in ambiente con la valigia piane di maschere, di quell'”io” che cosa resta?
Per Sibaldi questo dell’ “uscire di casa” (ed entrare nel mondo) è il momento dove l’io cade e lascia lo spazio a delle qualità più profonde del Sé.
Ma allora è il “sé” questo qualcosa che ci definisce al di là di tutti gli io-maschera?
L’Io nello spazio e nel tempo. E l’al di là dell’io
Ma, se parlando dell'”io” ci perdiamo quando usciamo di casa, ovvero quando entriamo nelle dinamiche relazionali, quando entriamo “nel mondo” e nelle molte categorie della realtà, allora forse è bene comprendere in che modo questo “io” è in relazione con la realtà, ovvero con le sue categorie di spazio e di tempo.
Già perché in definitiva se non ci fosse una relazionalità, non ci sarebbero maschere, per cui potrebbe andare bene una qualsiasi teoria, anche statica. Ma il fatto che entriamo continuamente in simbiosi con eventi, situazioni e persone, crea continue modifiche nelle strutture dell’io: da quando siamo nati ad oggi, ogni evento ci ha (in)formati, eppure possiamo sempre dire di “essere noi stessi”.
E’ curioso pensare che le dinamiche che modificano l’io e le sue strutture spesso non siano neanche “reali”: ci sono diversi studi scientifici che dimostrano -ad esempio – l’inattendibilità della memoria per le questioni fisiche.
Sembra, infatti, che quello che la memoria ci riconsegna del “passato” siano… favole. Sì, insomma, sono il risultato di una continua modificazione del fatto oggettuale, dell’evento originale, in base alle nuove esperienze che vi si assommano, che vanno a cambiarne il significato fondamentale.
Un significato che, spesso, già di suo è distante da un’oggettività, perché la nostra “realtà” è spesso quella delle percezioni e quindi dei pensieri (e degli schemi di giudizio), delle emozioni (e dei traumi) e delle sensazioni (e della malattia).
In definitiva, quindi, “ciò che è fuori”, il tempo e lo spazio, è alquanto relativo, perché ciò che l’io ne vive sono solo rielaborazioni, favole, miti. Il che fa della nostra realtà un sogno.
Ed allora, se l’io si modifica in base alla realtà e la realtà si modifica continuamente in base all’immaginazione, che cosa è l’io?
Giunti a questo punto, le nostre esplorazioni debbono arenarsi nella vacuità. Il più grande risultato delle esplorazioni dell’io è, quindi, scoprire che è limitato, che c’è un al di là dell’io tutto da conoscere.
Quindi, prima ancora della domanda “che cosa è l’io”, viene da porsi un’altra questione, ovvero se parlare di un “io” ha senso o se è meglio concentrarsi su tutto quello che l’io non è.
Ed il senso di “esplorare” è proprio questo: continuare a vagare, come in un deserto alla ricerca di un’oasi, perché, alla fin fin fine, l’io è una scusa per iniziare il viaggio alla scoperta dei confini dell’io, per trovare l’accesso ai “mondi più grandi”.
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