
Storia personale, realtà, futuri… sono queste le coordinate entro cui riconosciamo “chi siamo”, qual è il nostro posto nel mondo e quali prospettive realizzare. E sono tutte narrazioni che facciamo a noi stessi. Il bello è che possiamo cambiarle.
Sono appassionato di storie, miti, fiabe e narrazione – in generale – da sempre. Mi affascina il loro potere di accompagnarci al di là degli schemi di pensiero logico-razionale, di farci “guardare” oltre, sperimentare e vivere esperienze del tutto inattese e magari anche altrimenti impossibili.
Si, perché c’è un meccanismo di base fondamentale, in questo genere di racconti: quando li ascolti o li leggi, tu pensi per immagini. La tua immaginazione costruisce quelle scene e ti ci catapulta dentro, permettendoti così di vivere esperienze formative per la coscienza.
Attraverso queste storie, che noi raccontiamo continuamente a noi stessi, rispondiamo alle domande: “Chi sono? Qual è il mio posto nel mondo? Che prospettive realizzare?”.
È quindi, forse, estremamente importante conoscere queste storie, definirle al meglio e… anche saperle raccontare.

Perché ci raccontiamo storie
Ci potrebbero essere molte motivazioni al fatto che siamo portati, in modo naturale, a trasformare tutti i nostri vissuti in una specie di narrazione. Alcuni di questi godono di un maggiore credito, come la teoria dello “stile esplicativo”, menzionata anche da Seligman nei suoi studi sull’ottimismo.
In poche parole: quello che cambia tra una persona ottimista ed una pessimista è il “come si racconta” gli avvenimenti, come li rilegge, attraverso questo filtro narrativo detto “stile esplicativo”, che si regge su tre elementi cardine: personalismo, permanenza e pervasività.
- personalismo: tutto si incentra su di me. Nel caso del pessimismo, è “colpa mia” il fatto che le cose siano andate male. Nel caso dell’ottimista, è “merito mio” se le cose sono andate bene;
- permanenza: nel caso del pessimista, quell’evento negativo, resterà presente in modo permanente nella mia vita. Per l’ottimista, invece, nel tempo le cose si sistemeranno;
- pervasività: un evento che accade in una specifica area della nostra vita, per un pessimista, presto si allargherà, coinvolgendo la vita intera. Un ottimista invece nota che ci sono molte altre aree della sua vita, che sono “sane”.
In poche parole, quello che fa la differenza, non sono “gli eventi”, ma il modo in cui li leggiamo e ce li raccontiamo. È la lente con cui guardiamo al mondo, insomma, che ce lo fa vedere distorto o diritto.
Sembrerebbe dar credito a questa teoria anche la ricerca della Ljubomirsky, sull’impatto dell’epigenetico sulla nostra felicità. In soldoni: sembra che gli eventi caratterizzino la nostra felicità solo per un 10% del totale. Un 50% è dato dalla genetica (la predisposizione ad ottimismo o pessimismo) e quell’ultimo 40% è dato dalle nostre azioni intenzionali.
Sì, in poche parole: possiamo decidere di modificare le storie che ci raccontiamo.
La ricerca di un senso
Un altro motivo che ci spinge a raccontarci storie, mettendo insieme i pezzi – le informazioni, i dati – che raccogliamo vivendo è che… sotto sotto, abbiamo bisogno di trovare un senso a quello che accade, a ciò che viviamo.
Lo dimostra, da una parte, quell’accanimento che spesso si ha nel cercare una “missione personale”, una specie di direzione che possa dare un senso a tutto il nostro vivere: adesso, ieri, domani.
Ne ho trovato traccia anche in un (insospettabile) articolo su IlSole24Ore, che avevo segnato tempo fa, ma che solo ora riprendo, in cui c’è una bellissima frase di Thomas Gilovich, espressa nel suo “How we know what isn’t so: The fallibility of human reason in everyday life” (The Free Press, 1991):
«Noi siamo fatti per trovare un ordine, modelli e significati nel mondo. Per questo troviamo il caso e il caos del tutto insoddisfacenti. La natura umana rifugge l’imprevedibilità e la mancanza di senso»
E su questo tema, della ricerca del senso e del rifuggire l’imprevedibile, torneremo. Ma ora ci sofferiamo sul fatto che, in questo tentativo di mettere insieme i pezzi, commettiamo un sacco di errori.
Bias cognitivi e pensiero deduttivo
Il mio interesse per il pensiero – ovvero tutti quei processi che si aggirano tra l’avere idee, l’usarle, il costruire con esse una filosofia personale ed il prendere decisioni – non poteva che portarmi a studiare (ancora a livello “basic”) le euristiche ed i bias cognitivi.
Per dirla in modo semplice: nei suoi ragionamenti (deduzione) il pensiero segue dei percorsi e delle scorciatoie (euristiche), che si appoggiano su convinzioni e veri e propri errori (bias) di valutazione.
Insomma, un casino. Ma un casino di cui non ci accorgiamo e sul quale costruiamo le nostre decisioni e quelle narrazioni che ci conducono a fare quelle determinate scelte. In poche parole: quelle narrazioni ci conducono a costruire la vita che viviamo.
Ecco, se vuoi fare un lavoro per intercettare possibili sentieri alternativi di pensiero, per mettere in scacco il tuo modo di pensare attuale, ti invito a scoprire gli incontri 1-a-1 con me:

Scoprire e cambiare storie
Esistono quindi, dentro di noi, una moltitudine di storie. Per quanto possa sembrare assurdo, anche la nostra “storia personale”, quella che ricordiamo con la memoria, è una narrazione: più studi, tra cui ricordo sempre quello di Oliverio, dimostrano che quello che ricordiamo è una ricostruzione che viene continuamente modificata dall’immaginazione e ri-narrata alla coscienza.
E così, allo stesso modo, sempre con la narrazione, in noi lavorano anche le prospettive, ovvero quelle “idee di futuro” che abbiamo e verso le quali agiamo continuamente, cercando di costruire o evitare l’uno o l’altro orizzonte.
Spesso, però, siamo trainati da queste storie in modo del tutto inconsapevole. Ecco perché la cosa da farsi, prima di tutto, dovrebbe essere: dedicare tempo ed attenzione a scoprire le nostre narrazioni.
Personalmente credo che il modo migliore sia usare l’intelligenza narrativo-immaginativa. La stessa che usiamo, viceversa, per costruire quelle storie, modificarle e ri-narrarle continuamente alla coscienza. Ne ho scritto qualcosa in un ebook che si può avere gratuitamente acquistando il mio “Andata e Ritorno” su Il Giardino dei Libri (e solo lì!).
E ne ho parlato anche nel mio ultimo libro “Pensare per Immagini“.

Usare l’immaginazione
Uno degli strumenti più efficaci per individuare le proprie storie e modificarle è, quindi, il pensiero per immagini. Lo confermano le ricerche scientifiche sia sulla memoria che sulle prospettive, così come anche alcuni stratagemmi per affrontare il presente (ad esempio “l’effetto Batman“).
La domanda che viene è: come si può usare al meglio la propria immaginazione?
Ci sono veramente tanti modi per farlo, li ho descritti in “Pensare per Immagini“, ma quello che preferisco è: scoprire e generare nuove idee. In particolare, per le proprie prospettive e per esprimere il potenziale.
Qualcuno la chiama “creatività” e ci può stare, se intendiamo generare idee. Perché poi, passare da quelle idee a generare anche “realtà”, il passaggio non è affatto immediato (non credo in un’immaginazione che crea solo pensando, insomma).
Ma è possibile, solo che richiede un lavoro su:
- 1- comprendere le nostre visioni attuali (le narrazioni per il futuro);
- e per farlo è necessario sia aumentare la capacità di focalizzazione dell’attenzione, che migliorare la capacità di chiarezza mentale;
- 2- individuare e generare alternative;
- per cui abbiamo bisogno di alzare energia e coraggio, affinare l’ottimismo, aumentare la capacità di desiderare e spalancare le porte al possibile per individuare il nostro potenziale;
- 3- darsi da fare per esprimere quel potenziale, con azioni e micro-azioni quotidiane.
Il sistema che consiglio di usare per farlo?
Le Stanze dell’Immaginazione®
Un modo di pensare immaginativo che ho ideato nel 2010, messo al punto in 4 anni di ricerca e poi insegnato ad oltre 500 persone. Per pensare in modo imamginativo è utile raggiungere uno stato di rilassamento, che guido ed insegno.
Permettere alla coscienza di rilassarsi, seguendo una narrazione immaginativa, è come invitarla a seguire una “strada”. È proprio questa strada che accompagna nelle Stanze dell’Immaginazione. Un luogo fatto di immagini, di pensiero, organizzato in nove ambienti, con un arredamento specifico, che ci permette di usare l’immaginazione in più modi (visualizzare e cambiare stato, scoprire, generare idee, ecc…), ed averne avere una serie di benefici.
In particolar modo, usare questo sistema di pensiero aiuta a fare chiarezza, generare alternative e prendere decisioni migliori, più allineate con quello che desideriamo per noi adesso e nel futuro.