
Vedi il bicchiere mezzo vuoto? Non preoccuparti: c’è molto che tu possa fare, lo stesso, per riempirlo. Dal bias della negatività, che ci porta a valutare il lato negativo delle cose, alle ricerche sull’effetto dell’epigenetica sulla nostra felicità personale e sociale. Una sorta di “salutogenesi” globale, che potrebbe passare dal… piantare alberi.
I bias cognitivi sono ormai da qualche anno al centro della ricerca scientifica, psicologica, neurologica e anche filosofica, perché abbiamo bisogno di conoscere meglio il nostro modo di pensare, tra mente e cervello.
Uno dei bias in assoluto più famosi è il “negativity bias”, il bias che ci porta a vedere il bicchiere mezzo vuoto e che – sembra – non ci lasci molta scelta sulle possibilità che ci diamo di essere felici. Ma le cose non stanno proprio così: grazie alle ricerche epigenetiche, sappiamo che possiamo ancora costruire gran parte della nostra felicità, personale e sociale.
Insomma, una specie di “salutogenesi”, che ci porta a portare l’attenzione ad una complessità di aspetti, che riguardano anche l’ambiente in cui viviamo e che potrebbe migliorare di molto, piantando alberi.
Bias della negatività
I “bias” sono degli errori di sistema.
Non proprio come dei “virus” nel computer, ma nemmeno troppo dissimili: modi di pensare, personali, culturali, sociali, che ci portano a compiere degli errori. Non necessariamente sono errori invalidanti, ma comunque spesso ci costringono ad agire in un modo piuttosto che in un altro, perché si insinuano nei processi di decisione.
Il pericolo, ovunque.
Il più famoso è quello della “negatività”. Sembra che, per quanto sia negativo, alla fin fin fine sia un bias che ci ha aiutati a sopravvivere nel tempo, perché ci ha permesso di scorgere eventuali pericoli, evitandoli. Di fatto, questo bias ci porta a guardarci attorno, focalizzando l’attenzione su ciò che non va, o quantomeno a considerare quegli stimoli negativi, come più importanti: sensazioni, paure, timori, che poi influenzano modi di pensare e decisioni.
Non solo negatività.
Per fortuna non siamo sopravvissuti solo perché siamo stati capaci di prevedere i pericoli, ma anche grazie alla nostra innata capacità di essere compassionevoli, come ci ricorda la Margaret Mead, antropologa che distinse nel primo “osso curato”, la prima azione degna di essere considerata “segno di civiltà”; e perché abbiamo saputo costruire e narrare miti collettivi con la nostra immaginazione, come ricorda Harari nelle sue opere.
Lo racconto con più completezza in questo articolo sull’evoluzione della specie: fare-specie-speciazione-compassione
Epigenetica
Oltre il meccanicismo genetico.
Nel ’53 Watson e Creek ci hanno regalato una visione meccanicistica della biologia della vita, con l’individuazione della struttura del DNA. Le ricerche di oggi, invece, ci dicono che la vita non è regolata in modo deterministico da un codice, ma che quello stesso codice può cambiare nel tempo, grazie all’influenza dell’ambiente.
Da Lipton alla Ljubomirsky.
Anni fa ci fu questo medico americano, Lipton, che col suo libro “La biologia delle credenze” (del 2007) introduceva il concetto dell’azione dell’ambiente sull’individuo, analizzando le cellule e la loro struttura. Più recentemente (l’ultima conferma dello studio è datata dicembre 2019), invece, troviamo le ricerche di Sonja Ljubomirsky.
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Felicità epigenetica.
In poche parole: la genetica non decide interamente della nostra felicità. Secondo il lavoro della Ljubomirsky, anzi, siamo debitori al DNA solo al 50% del totale. Ed il resto? Diviso tra gli eventi che capitano nella vita (un 10%) e le scelte che ogni giorno facciamo (40%). Questi, almeno, sono i numeri (di media) che fornisce nel suo “Boosting Happiness and Buttressing Resilience“.

Può non esser facile, di certo non è democratico, perché ognuno di noi vive in condizioni completamente differenti, vuoi per la propria “genetica”, vuoi per la situazione in cui si trova a vivere. Ma di certo resta che abbiamo nelle nostre mani buona parte dell potere di essere felici: i pensieri su cui ci soffermiamo, le emozioni che proviamo e quelle che – invece – alleniamo, le azioni e le pratiche quotidiane che facciamo.
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Salutogenesi
La cura, che cura.
Il concetto di salutogenesi nasce attorno agli anni ’80 col sociologo Aaron Antonovsky. Era un modo per cambiare paradigma e spostare l’attenzione dalla patogenesi alla salus-genesi, per trovare quali condizioni fossero alla base non della malattia, ma degli stati di salute. In poche parole, è lo spostamento dell’attenzione, con un allargamento di visione, sul fatto che per garantire uno stato di salute ottimale, bisogna guardare alla complessità dei sistemi di vita.
Psicologia Positiva.
Quello di Antonovsky fu, insomma, un passaggio dal negativo al positivo, molto simile a quello – ben più recente (inizi degli anni 2000) – di Martin Seligman e della nascita della psicologia positiva. Lo spostamento non fu solo dagli stati di disordine ed infelicità (l’equivalente psicologico della salute) a quelli di felicità, ma – come spiega bene lo stesso Seligman in “Fai fiorire la tua vita” – anche dal concetto di felicità a quello di benessere.
Teorie della Felicità.
Il passaggio fu epocale: dall’idea che facciamo tutto per avere una maggiore felicità (teoria della felicità autentica) alla visione che la felicità sia qualcosa di complesso e non solo un’emozione (teoria del benessere).
È il passaggio da una visione classica ed edonistica, dove la felicità viene vista come piacere ed emozione passeggera, ad una più eudaimonica, che si rifà anche alla filosofia antica, che considera “felicità” non solo la ricerca di piacere ed emozioni positive, ma anche del raggiungimento di una pienezza, di un senso ed uno scopo di vita, e nell’applicazione di buone pratiche di virtù.
Piantare alberi
La felicità è ecosistemica.
Se c’è una cosa che possiamo dire alla fine di questo articolo è che:
se la felicità dipende anche dal suo ambiente, allora è per sua natura ecosistemica.
Non è una questione privata, non egocentrica ed egoistica, non egemonica e né selettiva. È per tutti.
La felicità è per tutti nel senso che ad ognuno è possibile fare un personale “+1 di felicità” ed anche nel senso che, se si riesce a far passare il filo della felicità attraverso più persone possibili, la felicità dell’intero sistema aumenta.
Piantare alberi.
Ho recentemente seguito una conferenza di Stefano Mancuso, che mi ha portato ad acquistare il suo libro “Plant Revolution” (che non ho ancora letto: l’ho preso ieri!). Il tema centrale era la salute del pianeta, per cui Mancuso propone una soluzione che non ha a che fare con fonti di energia rinnovabile, consumo fossile, ecc…
Certo, il problema è quello della CO2 e va risolto anche con le fonti rinnovabili ed anche con le auto elettriche, ma non c’è modo migliore che… piantare alberi. Mille miliardi di alberi, per far tornare a respirare il pianeta, gli oceani, i nostri cervelli e polmoni, i nostri figli ed il futuro.
Quindi: piantiamo alberi.
Perché, come dice Roberto Poli: “Ogni nostra azione genera o consuma futuro”.
Soluzioni possibili
Cosa puoi fare, fin da ora.
Mi permetto di darti una serie di opzioni. Sicuramente ce ne sono moltissime altre e se ne conosci, ti invito a scriverle nei commenti, in modo da renderle note a chi leggerà questo articolo.
- pianta alberi
Se puoi, dove puoi. Se conosci progetti che, in modo serio ed etico, tendono a piantare alberi, o meglio ancora a seminarne di nuovi, condividili con noi! Eccotene un paio di quelli che conosco io:
– Ecosia, il motore di ricerca che per ogni ricerca che fai, pianta alberi – sembra che lo facciano sul serio;
– TreeDom, sito in cui puoi acquistare e regalare alberi, in modo “intelligente”: andranno in zone dove ce n’è bisogno e dove (ad esempio) dei contadini se ne prenderanno cura – credo che lo facciano sul serio, ma non so assicurartelo;
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- aumenta la tua consapevolezza
Puoi iniziare dal libro “Plant Revolution” di Mancuso, se vuoi, oppure dare una sbirciata agli sviluppi dell’agenda ONU 2030, per vedere cosa stiamo realmente facendo (ma non ti piacerà sapere che al G20 non c’è stato accordo unanime per accelerare i tempi).
Puoi anche lavorare per superare alcuni dei bias cognitivi e delle convinzioni che abbiamo sulla realtà, magari leggendo un “Factfulness” di Rosling.
Puoi meditare, immaginare, lavorare coi futuri. Puoi imparare ad informarti in modo corretto, evitando bufale.
. - costruisci la tua felicità quotidiana.
Impara le teorie ed i modelli della scienza della felicità, ma soprattutto: pratica.
La mia consorte (e socia!) Lara Lucaccioni, ad esempio, insegna Coerenza Cardiaca e Yoga della Risata, due pratiche semplici, che ti permettono di costruire ogni giorno la tua felicità, in modo scientifico.
Insieme, poi, nutriamo il gruppo Fb “La Specie Felice“, dove trovi contenuti, stimoli ed idee per la tua evoluzione.Per chiudere, abbiamo anche costruito insieme: WeekUP, il residenziale sul benessere e l’energia, che avrà luogo per la prima volta a settembre 2021, in una location d’incanto. Il programma è completamente ideato su teorie, modelli e pratiche scientifiche: https://happinessforfuture.it/residenziale-benessere-weekup/
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