
Chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia.
– Paulo Coelho
“Arcobaleni e Minotauri”, potrebbe sembrare il titolo per un romanzo fantasy, o per uno di quei particolarissimi oroscopi di Brezny, ed invece è una riflessione sul Sacro, come patto tra l’uomo ed il divino, e su come “restituire” l’Anima a questa dimensione.
Per scoprire in che modo il Sacro è unito all’arcobaleno ed alla figura mitologica del Minotauro, dobbiamo usare un modo di vedere le cose proprio di chi si affaccia nei reami di una Filosofia del Profondo, un modo che possiamo chiamare “immaginale”, ma anche metaforico o poetico: il modo di pensare antico, che elaborava i fenomeni in base alla loro immagine, il volto, ed agli effetti, mettendo insieme informazioni e sensazioni, intelletto e cuore.
Solo attraverso questo “fare” simbolico e metaforico possiamo comprendere le figure dei fenomeni nelle vesti degli antichi dèi e solo così, quindi, possiamo rileggere arcobaleni e minotauri come immagini di un patto Sacro tra l’uomo ed il divino. Immagini che contengono in sé quelle prassi “sacre” per riconciliare i mondi.
L’Arcobaleno
Il primo sistema simbolico e mitologico da cui prendiamo spunto è quello indicato nella Bibbia.
Che sia chiaro: non sto discutendo sulla sacralità o meno del testo, sto solo rileggendone liberamente il contenuto in modo simbolico.
E simbolico neanche tanto, dato che la storia dell’“arcobaleno come simbolo del patto tra l’umano ed il divino” è assai risaputa: il brano biblico più famoso in cui si fa riferimento all’arcobaleno è il capitolo 9 del libro della Genesi, a conclusione della narrazione del diluvio. Che ci sia un diluvio o meno, quindi, sembra che in qualche modo il divino abbia deciso di stringere con l’uomo un patto, un accordo di pace.
O magari, più semplicemente, quel ponte tra le nuvole sta a ricordare all’uomo che esiste un legame tra questo mondo e quello del numinoso.
Forse quel “patto” tra le due realtà va letto più nel senso musicale di “accordo”: divino ed umano vanno in risonanza.
Il Minotauro
In un’altra mitologia, questo “accordo” è raffigurato dal Minotauro.
Certo, un’immagine un pochino più forte: per chi non conoscesse il mito, al di là del suo aspetto mezzo umano e metto toro, a questo – che viene riconosciuto come un “mostro” – venivano portati in pasto dei giovani. Tanto era il terrore che se ne aveva, che gli fecero costruire un labirinto intorno.
Ma le cose non stanno proprio così. O quantomeno non stanno “solo” così: per chi naviga negli ambienti simbolici, è bene attrezzarsi di pazienza, di quel profondo respiro che ti permette di vedere le cose per come si manifestano, di accoglierle in toto, per poi farsi trasportare da loro in mondi fantastici, magici.
E così naturalmente capita con la mitologia greca, sulla quale fondiamo il nostro “ethos” (ciò che ci distingue come “comunità”): l’epica è l’unica origine possibile per la nostra etica comunitaria (ed Hillman era d’accordo).
Riporto uno dei miti che forse, tra i tanti, mi è rimasto più impresso, quando l’ho sentito ri-leggere così da Selene Calloni Williams, allieva di Hillman:
Minosse, re di Creta, per la sua magnificenza chiede un segno al nume. Riceve in dono da Poseidone un toro bianco bellissimo, col patto, però, che questo toro sarebbe dovuto tornare al dio, per mezzo di un rito sacrificale. Ma Minosse, sacrilego, lo rinchiude con le sue vacche.
Poseidone fa così impazzire la regina che, con un artificio (una giumenta di legno costruita da Dedalo, padre di Icaro), ama il toro e da questa unione nasce il Minotauro, effige della memoria della rottura di un patto fondamentale.
A differenza del mito precedente, quindi, il Minotauro è la metafora del patto tra umano e divino che è stato spezzato.
E’ l’emblema di una cucitura fatta d’urgenza, di una conseguenza necessaria per la mancanza, nell’uomo, del rispetto del “patto”, del Sacro.
Il sacrum facere: come restituire l’Anima al Sacro
Il mito del Minotauro non finisce qui, ma tanto basta a notare cosa accade quando si va al di là del Sacro, rompendo il patto: disconoscendo e rinchiudendo l’Anima Selvaggia (di cui il Minotauro è una raffigurazione) si generano mostri.
Anzi, essa stessa diventa il mostro, l’ombra di terrore.
E così la selvatichezza, la vicinanza dell’Anima con la Natura, vengono additate come nefaste e – ad esempio – le donne che tentano di recuperare questo legame di natura, riconciliando il patto col divino, vengono viste come streghe.
Alla fine, quindi, cosa ne resta di quel “Patto Sacro” che troviamo in molte mitologie?
Una memoria, un’indicazione ed una chiamata:
- la memoria – il simbolo in sé ricorda il patto originario, il Sacro, il luogo naturale dell’Anima.
Non necessariamente alberi, montagne e fiumi, ma la “natura” dell’Anima è il Sacro stesso e la sua cultura.
. - l’indicazione – una sofferenza dovuta alla sensazione di separazione interiore.
Che può prendere le forme molteplici di cui il “maschile/femminile” è lo specchio più grande.
. - l’azione – trasformare quell’urlo interiore in un’urgente azione da fare: il sacrum facere.
Ecco perché il sacrificio al nume: l’azione del sacro è l’atto di restituire l’Anima alla sua natura… il Sacro.
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