
Il mito non è qualcosa di estinto, di esistito e sparito sottoterra, bensì un modo di pensare, di creare icone di riferimento, dare risposte di senso agli interrogativi della Specie di qualsiasi epoca storica.
Se quando si parla di “mito” pensi alla classica greca, a qualcosa di antico e tribale legato a popolazioni nomadi che disegnavano nelle caverne o a qualsiasi altro sistema antico, in parte sbagli: il mito è un sistema di pensiero che l’essere umano, come Specie, usa per creare immagini, prospettive, speranze verso il futuro o spiegazioni per il presente.
Te lo mostro con questa narrazione tutta moderna, che si incentra sul film “12 Soldiers”.
Tratto da una storia vera
Sarà vero? Perdona il gioco di parole, ma la domanda va posta: il film è la trasposizione cinematografica del libro “Horse Soldiers” di Doug Stanton, giornalista e autore di bestseller del New York Times.
Dalla sua bibliografia si comprende come il suo interesse sia legato al mondo della guerra, di cui fa come dei resoconti, intervistandone gli “attori”. Nel caso di “Horse Soldiers” si tratta di Mark Nutsch, comandante dell’ODA 595, inviata in Afghanistan dopo gli eventi dell’11 settembre.
Ma, anche se tutto sembra dirci si tratti di una storia vera, qualche dubbio viene… d’altronde è la trasposizione cinematografica di un libro, in cui un autore ha raccontato (e romanzato?) degli eventi che gli sono stati narrati.
Troppi passaggi per prendere il tutto come oro colato. E non è tutto…
Il mito delle origini
Che sia di stampo religioso, ateo, sociale, economico, ecc… di fatto, ogni cultura ha un suo mito delle origini.
Non potrebbe esistere senza, dato che qualsiasi storia si basa su un evento originario il quale, nel trascorrere del tempo, diverrà il mito delle (sue) origini. Anche ogni essere vivente nasce da un racconto: quello che la madre e il padre gli fanno del suo “venire al mondo”.
Di certo la cultura americana ha molti miti a cui appellarsi: la costituzione degli “Stati Uniti”, ad esempio, con le firme congiunte di grandi uomini della storia. Ma anche il mito che racconta dei “civili” cowboy intenti a difendersi dagli “incivili” pellerossa.
Come accade in molti casi, il mito delle origini è un racconto di violenza, sopruso e razzismo: d’altronde era il tentativo di “dimostrare la propria superiorità” (come razza e come cultura) sugli altri, vestendo di diritti divini, culturali e/o economico-politici, dei terribili genocidi.
A cavallo contro i nuovi pellerossa
Nel film “12 Soldiers” vengono raccontate le gesta del gruppo ODA 595 e del suo comandante Mark Nutsch, che si sono trovati a combattere nel deserto contro un numero di nemici 4000 volte superiore e, per di più, meglio attrezzati: si tratta di combattenti a cavallo contro carri armati.
Quando hai letti “combattenti a cavallo” probabilmente avrai già fatto un semplice “due + due”: se il mito americano delle origini è il mito del cowboy, con cui si autorizzava a depredare e sterminare gli indiani nativi, allora…
L’immagine di 12 soldati armati di mitra e in groppa a dei cavalli, che combattono – in innumerevole svantaggio – contro nemici di una razza diversa, è perfetta.
Se volessimo usare una frase che va molto di moda oggi, potremmo dire quindi che: “Talebani is the news Pellerossa”. Il mito ancestrale torna e si incarna ancora.
Cosa imparare
Infine, dato che di questa vicenda è quasi impossibile dire cosa sia vero e cosa no (la certezza la potremmo avere solo se fossimo stati presenti), allora per adesso teniamo questo “mito moderno” così com’è: una narrazione.
Sia che sia vera, sia che sia falsa, questa narrazione porta con sé una riflessione: cosa ci racconta?
Che la si guardi da una parte o dall’altra, ancora una volta ci troviamo di fronte a ideologie di presunta superiorità di una razza contro un’altra, di processi di conquista e potere ammantati di “giustizia”, di mancanza di lungimiranza sul senso della Specie e di assente responsabilità nel prendere delle scelte.
Insomma: teniamo questo mito come icona del fatto che – come Specie – nonostante passi il tempo e nonostante che una parte della nostra attenzione (vedi le opere di Harari) stia andando nella direzione di mettere in discussione questo tipo di società con la sua “evoluzione”, sembra non abbiamo molto cambiato e né compreso dalla nostra storia. Purtroppo, ancora troppo spesso: homo homini lupus.
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